Ari Aster è uno che i film li sa girare, e lo ha dimostrato in quest’anno di grazia 2019, mesmerizzando il pubblico di tutto il mondo con Midsommar , da noi noto con l’aggiunta: Midsommar – il villaggio dei dannati. Un’eventualità presente anche nel titolo italiano del suo lavoro precedente, Hereditary, da noi inevitabilmente Hereditary – le radici del male, a riflettere le paure delle distribuzioni italiane che devono comunicare a tutti i costi e inequivocabilmente al pubblico, il genere della pellicola.
Hereditary, uscito nel 2018, è il film d’esordio del regista, che si professa autore completo fin dal suo primo lavoro, scrive e dirige con mano sicura e grande capacità visionaria.
Aster, nel suo primo lavoro, mostra la sua preparazione accademica (diplomato in regia presso l’AFI Conservatory) e confeziona un horror spiazzante, che sembra andare in tutte le direzioni, finendo per sceglierne una esclusivamente nel finale. Nelle immagini pulite, nelle scenografie dettagliatissime e nell’accuratezza degli oggetti di scena, ricorda indubbiamente Kubrick, così come lo ricorda nella ricerca esasperata di linee di fuga, prospettive e immagini simmetriche. Ma è una reinterpretazione assolutamente personale. Aster ha il senso dell’immagine dentro di sé, e ne è cosciente.
Dove difetta, invece, è nella scrittura. Il soggetto è interessante, ma la stesura e il montaggio finali creano un film che è allo stesso tempo un thriller psicologico, un horror sovrannaturale, una storia di esorcismi e possessioni, di drammi familiari e un trattatello sui sensi di colpa di una famiglia borghese ritratta in un interno.
La storia di “Hereditary” è quasi impossibile da raccontare senza incappare in uno spoiler. Annie, una mamma vicina ai cinquanta, coltiva l’hobby (come arte e passione) della costruzione di bellissimi ambienti in miniatura, nei quali ritrae perlopiù scene di famiglia. Improvvisamente viene a mancare sua madre, Nonna Leigh, e tutti ne sono turbati: in particolar modo le donne di casa, Annie e la figlia minore Charlie, mentre il marito Steve e il figlio adolescente Peter sembrano quasi sollevati dall’evento. Annie è divorata dai sensi di colpa, mentre Charlie soffre più degli altri per via del legame speciale che condivideva con la nonna. Dopo questa introduzione , gli eventi iniziano a susseguirsi quasi senza una logica apparente, portando la storia ad ogni momento in una direzione opposta alla precedente.
Morti accidentali ed efferate, sensi di colpa che divorano la mente e l’anima, accadimenti ai limiti dell’incredibile, personaggi che compaiono dal nulla e tornano nel nulla, atmosfera da disturbi psichici (sarà quella l’ereditarietà del titolo?) e, su tutto, la fredda ala del sovrannaturale e del maligno.
E’ stato scritto da più parti che Aster procede per accumulo: verissimo, le citazioni e i referenti letterari e visuali sono una lunga lista, dagli horror antichi (Shining, l’Esorcista) a quelli moderni, dalle storie di fantasmi alle soluzioni visive nello stile del cinema horror asiatico. Una quantità di informazioni tale da far vacillare la struttura stessa del film, e capaci di essere governati solo dallo spettatore più attento, e difficilmente comprensibili ad una visione unica della pellicola. Aster, bravissimo invece nella regia, riesce miracolosamente a tenere la tensione alta e le atmosfere intatte fino al finale, confuso e spiazzante. Finale che ci porta dove voleva il regista/scrittore, ma, forse, non dove avrebbe realmente dovuto.
Hereditary è un film da vedere, in ogni caso, dove gli attori sono tutti in parte. La nevrotica Annie è resa splendidamente da Tony Collette, mentre Steve è interpretato da un perfetto e misurato Gabriel Byrne. Milly Shapiro, che interpreta Charlie, è più inquietante di Linda Blair.
Voto Autore: [usr 4,3]