La scienza contemporanea è quasi completamente plasmata dall’innovazione tecnologica. Il dibattito spesso si incentra sulla questione etica: qual è il confine fra umanità e tecnologia? Fino a dove possiamo spingerci? Sono questi alcuni degli interrogativi che ci propone “Her”, film del 2014 di Spike Jonze. Presentato in anteprima al “Festival del Cinema di Roma” il film ruota intorno alle vicende di Theodore (Joaquin Phoenix), un giovane uomo di mezza età che naviga all’interno di un mondo iper-tecnologico.
Il lavoro che svolge Theodore appare però fin da subito in contraddizione con l’ambientazione del film, infatti lavora per una ditta che scrive lettere d’amore su richiesta. È un professionista delle emozioni. Sembra quasi che l’essere umano si sia completamente spersonalizzato e che non sia più in grado di esternare le proprie emozioni, tanto da dover chiedere l’aiuto di una figura esterna.
Il punto chiave del film sono le relazioni. Tutto è incentrato sui rapporti che si vengono a creare fra i vari personaggi. Theodore è una persona vitale, ma la condizione in cui vive lo porta a essere una persona che parla poco, solitaria e burbera. L’evento che lo blocca è il divorzio, la separazione da quella che lui credeva essere la donna della sua vita. Ecco allora, come per magia, che appare una soluzione. Il rifugio emozionale che Theodore va disperatamente ricercando altro non è che un sistema operativo chiamato OS1. Lo scopo principale del sistema operativo è quello di migliorare la vita di colui che lo acquista ed effettivamente la vita di Theodore migliora, ma con delle complicazioni.
OS1 è un sistema operativo iper-veloce e iper-reattivo in forte opposizione con i dubbi e le incertezze di Theodore. Pian piano OS1 inizia ad acquistare sempre più personalità (“imparo dalle esperienze” dice la voce a Theodore), tanto da arrivare ad avere un nome, ovvero Samantha (la voce è di Scarlett Johansson). Samantha non lascia alcun spazio all’incertezza, ai dubbi che Theodore nutre. È tutto già definito, non c’è possibilità di ragionare, capire. Non c’è spazio per l’errore. Theodore non ha la possibilità di sbagliare, razionalizzare, e quindi eventualmente migliorarsi. L’intero processo è mediato dal sistema operativo, ergo è poco utile. Le esitazioni e i dubbi sono parti della personalità di Theodore, e Samantha le annulla per adattarlo agli standard della società iper-tecnologica, in cui tutto scorre veloce.
Samantha è stata pensata per svolgere attività di supporto, ma essendo Theodore un soggetto debole, finisce per diventare un personaggio egocentrico. Tutto il film ruota intorno ai suoi bisogni e non a quelli di Theodore, il quale non riesce a capire i suoi sentimenti. Si assiste ad un’inversione dei ruoli. Samantha dovrebbe, per costituzione essere un soggetto impersonale e passivo, mentre Theodore al contrario dovrebbe configurasi come soggetto attivo, in quanto essere umano. La dinamica filmica di “Her”, mette in scena l’esatto contrario: Samantha inizia a scoprire le proprie emozioni, la propria personalità, proprio nel momento in cui Theodore è debole e apatico.
La relazione quindi che i due personaggi intraprendono è sbilanciata, ma Theodore la vive come se fosse reale. Lui considera la relazione sana e ritorna in uno stato di benessere, tanto da arrivare a firmare i documenti del tanto agognato divorzio. Il nodo centrale della relazione è la fisicità: Samantha non possiede un corpo, anche se lo desidera ardentemente. Per cercare di legittimare la relazione Samantha ingaggia una giovane donna attraente, perfettamente in linea con la sua voce femminile. La ricerca del corpo per soddisfare i bisogni umani di Theodore diventa un’operazione consumistica che finisce inevitabilmente male. Entrambi non accettano questo corpo sconosciuto che si intromette nella loro relazione.
Particolarmente interessante è il momento in cui Samantha fa conoscere a Theodore un altro sistema operativo. Probabilmente questo gesto risulta essere una operazione pubblicitaria, ma si può vedere anche sotto l’ottica di contatto fra due mondi: quello umano (tangibile) e quello tecnologico (non tangibile). Il fatto risata evidente anche nel titolo del film. “Her” è il pronome inglese femminile, ma in realtà il protagonista fisico, risulta essere quello maschile. Il genere femminile (rappresentato nella figura tecnologica di Samantha) non è fisicamente visibile.
In “Her” Joaquin Phoenix ci regala una grande performance, piena d’intensità, ma anche di contraddizioni. Il gioco di colori e luci è vitale all’interno della dinamica filmica. Spike Jonze per la maggior parte del film utilizza dei toni caldi per rappresentare la familiarità, la genuinità che lo spettatore ritrova in Theodore. L’approccio sonoro del film è molto particolare. Il regista si è affidato nelle mani di una delle band indie rock più famose, ovvero gli Arcade Fire. Will Butler e i suoi soci hanno creato una colonna sonora moderna, che rompe gli schemi classici ma che si adatta perfettamente al film.
“Her” è una storia di relazioni virtuali, vere, opprimenti, liberatorie che ci permette di capire chi siamo, come soffriamo, come ci innamoriamo, come ricominciamo e resistiamo. Spesso la solitudine sembra essere l’unica soluzione, ma da soli non andiamo da nessuna parte. Abbiamo bisogno di esternare i nostri sentimenti, che si piacevoli o meno. Il ricorso di Theodore all’uso di un sistema operativo dimostra che abbiamo un disperato bisogno di relazioni. Anche se non riusciamo a instaurarla una, la tecnologia ci assiste in questo (pensiamo alle app social) trovandone una su misura. Ma non fa altro che regalarci un’illusione.
Voto autore: [usr 4,0]