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Halston – La Recensione della miniserie Netflix

Halston la recensione della miniserie Netflix sulla moda con Ewan McGregor

Dopo Hollywood, la serie che reinterpreta alcuni fatti degli anni d’oro della capitale del cinema in chiave progressista, Ryan Murphy ritorna a guardare il passato con questa miniserie biopic incentrata sulla affascinante figura dello stilista Roy Halston Frowick, conosciuto solo come Halston.

Halston

Halston ebbe una breve ma intensissima carriera, come viene ritratta nella miniserie, che attraverso cinque episodi seziona la sua vita, privata e lavorativa, in altrettante fasi: dalle origini della sua carriera, che si avviò come stilista di cappelli portati alla ribalta dal pillbox, il cappellino a tamburello indossato da Jackie Kennedy, passando poi per il salto di qualità ai vestiti haute couture, che lo portano ad essere lo stilista delle star, le cosiddette appunto Halstonettes, tra cui Liza Minnelli, Cher e Diana Ross; fino al declino degli anni ’80, causato dalla cocaina e dai vita festaiola, che lo portò a perdere tutto, anche il suo nome, prima della morte nel 1990, a 57 anni, per alcune complicazioni dell’AIDS.

Halston e Liza

Halston storia

Per molti il suo nome oggi sarà quasi sconosciuto. Eppure, Halston fu uno stilista capace di rinnovarsi e di imporsi nell’immaginario di lusso fino almeno agli anni ’80. Amico di Liza Minnelli e di Andy Wharol, la miniserie ne fa un ritratto complesso e affascinante: ambizioso e pieno di sé, esplora anche le parti più scomode del genio e del successo, ed è supportata da una incredibile performance di Ewan McGregor. McGregor è trascinante nella sua interpretazione così puntuale del personaggio storico, che i suoi manierismi, anche di voce, con un notevole lavoro di americanizzazione dal suo accento scozzese, non risultano mai macchiettistiche. Il personaggio è talmente grande e prorompente che poteva essere solo portato solo sullo schermo da un grande e raffinato attore come Ewan McGregor. Prorompente anche nel titolo, semplicemente Halston, il nome del personaggio, più che della persona, e il nome della sua istituzione. È così che sceglie di essere chiamato ed è così che vuole essere ricordato. In una delle battute finali, esprime il concetto che sta dietro al titolo e al senso della miniserie: quando moriamo lasciamo solo il nome, e lui il nome l’ha venduto.

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una scena della miniserie

Halston la trama della miniserie Netflix

Il titolo, Halston, rappresenta il fulcro della serie: lui, solo, chiuso nel suo palazzo di megalomania, anche se la serie lo tratteggia continuamente circondato da collaboratori e divi. Anzi, la serie in più momenti vuole indicare quanto in realtà la sua ambizione si sia in effetti materializzata in successo proprio grazie ai suoi collaboratori e dalle sue conoscenze. A cominciare dalla first lady Jackie Kennedy, che lo sdoganò come cappelliere raffinato, per passare poi ai suoi più stretti collaboratori. E quindi un giovane Joel Schumacher, che non tutti sanno che prima prima di essere stato regista, tra gli altri, dell’amato/odiato Batman & Robin, nacque in effetti come designer e costumista di scena, ed è ritratto nella serie come colui che dà le prime idee veramente originali che consentono a Halston di fare il passo di qualità dai cappelli ai vestiti.

Halston e Elsa

Dopo di lui, la serie si sofferma anche su Elsa Peretti, modella e musa di Halston che ha poi lavorato tutta la vita come designer di gioielli per Tiffany e che è morta il 18 marzo di quest’anno, e su altri, in particolar modo il fedele collaboratore Joe e l’imprenditore David, interpretato da Bill Pullman. Circondato da poche scelte persone di cui riesce a succhiarne la propria arte e, anche se per un breve periodo, pervaso in tutti i possibili ambiti della moda, il ritratto che la serie fa di Halston è quello di un individualista megalomane, profondamente solo e fragile, bisognoso di amore e validazione che cerca dappertutto, nei critici, nelle amicizie, negli amanti e infine nella droga.

Ewan McGregor

Halston la recensione

Ewan McGregor riesce con la sua interpretazione a trascinare l’intera produzione, pur di complessiva altissima maestria, dalla fotografia, a, ovviamente i costumi, tutto è curato in perfetto stile Ryan Murphy, elegante, raffinato, colorato e solo una punta di giusto kitsch. La sceneggiatura, sempre di Ryan Murphy con Ian Brennan, brilla soprattutto nella lingua sofisticatamente biforcuta del protagonista, mentre cade talvolta in un sentimentalismo un po’ trito, soprattutto nelle scene più introspettive sul passato di Halston.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni
Marianna Cortese
Marianna Cortese
Attualmente laureanda in Lettere Moderne, ho sempre avuto un appetito eclettico nei confronti del cinema, fin da quando da bambina divoravo il Dizionario del Mereghetti. Da allora ho voluto combinare cinema e scrittura nei modi più diversi e ho trangugiato di tutto: da Kim Ki-Duk a Noah Baumbach, da Pedro Almodovar a Alberto Lattuada. E non sono ancora sazia.

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