Qualche giorno fa è stato ufficializzato l’inizio delle riprese del nuovo film di Matteo Garrone, Io Capitano, progetto ambizioso per cui per la prima volta il regista romano si trova a girare all’estero (per la precisione in Marocco e in Senegal).
È quindi l’occasione giusta per riflettere su quello che è il film che ha rappresentato la svolta nel cinema di Garrone: Gomorra, tratto dal romanzo di Roberto Saviano ed uscito nelle sale italiane nel 2008.
Gomorra: storia produttiva
Gomorra si trattò del primo vero successo di Matteo Garrone, nonché dell’opera più complessa della prima parte della sua carriera. Una prima svolta si era avuta con L’imbalsamatore (2002), film con cui Garrone si era già allontanato dal cinema più spontaneo e indipendente con cui era esordito. Con Gomorra, però, si ritrova a lavorare su una materia molto più complessa, ovvero il romanzo di Saviano, tradotto in più di cinquanta lingue e rivelatosi un vero e proprio caso mediatico per tutte le conseguenze che aveva avuto.
Dopo aver trascorso alcuni mesi a Scampia e aver conosciuto dall’interno il contesto che poi avrebbe trasposto sullo schermo, Garrone dirige il film coinvolgendo nel ruolo di comparse e attori anche persone realmente affiliate alla camorra (cosa che causerà anche delle controversie, nel momento in cui tre di essi verranno arrestati alcuni mesi dopo l’uscita del film). Il film ha grandissimo successo, già a partire dalla sua prima al Festival di Cannes, dove vince il Gran Premio della Giuria. Gomorra si aggiudicherà anche l’European Film Award al Miglior Film (e in altre quattro categorie), ma non riuscirà a vincere il Golden Globe al Miglior Film Straniero, né entrerà nella rosa finale dei nominati per il Premio Oscar.
Gomorra: recensione e analisi
A parte i premi, però, Gomorra è diventato un punto di riferimento per il cinema italiano contemporaneo. Oltre a consacrare Garrone come uno dei più importanti registi italiani del momento, ha rappresentato un modello anche per i film sulla criminalità organizzata. Il film di Garrone offre uno sguardo “antropologico” su Scampia e sul Sistema guidato dalla camorra, con una messa in scena estremamente realistica che svuota la rappresentazione della criminalità da ogni epica. Coerente da questo punto di vista la scelta di prendere dal testo di Saviano cinque storie che non riguardino vertici del potere camorristico, bensì individui che occupano il gradino più basso di quel Sistema.
Il realismo della messa in scena, che non corrisponde però ad una mancata presa di posizione di Garrone, come invece parte della critica ha affermato, è dato anche dall’uso delle ambientazioni reali, nonché dall’utilizzo del dialetto e di battute spesso improvvisate sul set dagli attori.
Attraverso queste cinque storie, Garrone riesce a offrire uno spaccato omogeneo di una società corrotta dalla criminalità organizzata. A dispetto della frammentarietà della narrazione, il film non appare mai frammentato (merito anche della scelta di intrecciare tra loro i singoli episodi), ma si rivela anzi una messa a fuoco quasi documentaristica di quel mondo. Garrone ha affermato di essersi ispirato in questo a Paisà di Roberto Rossellini, che anche arrivava a dipingere lo spaccato di un Paese in guerra attraverso sei piccole storie.
Anche in Gomorra si può notare l’ibridazione tipicamente garroniana tra realtà, cronaca e fiaba. Le storie raccontate, le ambientazioni e i corpi rimandano ad un immaginario fiabesco. Anche la scelta di Garrone di non fare nomi né fornire dati attraverso la diegesi (sono solo gli elementi paratestuali, come le didascalie a dare indicazioni oggettive) favorisce l’immersione della narrazione in una dimensione allegorica, oltre a rendere le vicende raccontate in qualche modo universali, non riferite alla sola Napoli.
Garrone tra questioni di genere e denuncia sociale
Universali sono anche molti dei temi che Garrone mette in scena, in primis il divario tra modelli ideali e realtà tangibile, che sta al centro dell’episodio forse più ricordato, quello di Marco e Ciro, tanto che l’immagine più nota del film, utilizzata anche per le varie locandine, ritrae proprio i due ragazzi che sparano sulla spiaggia. I due ragazzi hanno come modello il Tony Montana di Scarface e, più in generale, il cinema gangster hollywoodiano, ma scopriranno a loro spese che la realtà è diversa e ben più drammatica. Questo episodio, che racchiude in qualche modo l’essenza dell’intero film, può essere letto in ottica di buddy film, che consente anche una lettura della criminalità come via per il raggiungimento di una mascolinità ideale.
D’altronde, nel suo cinema Garrone ha spesso proposto dei modelli di genere non convenzionali: un esempio è L’imbalsamatore, dove il “male gaze” coniato da Laura Mulvey è rivolto non ad una donna, come avviene invece nel cinema classico, ma ad un uomo. In Gomorra la questione della mascolinità si intreccia con il tema della mafia, come avverrà poi in altri due film che hanno preso il film di Garrone come esempio, ovvero La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi e ancora di più l’esordio dei fratelli D’Innocenzo, La terra dell’abbastanza.
Con Gomorra, infine, Garrone riesce a mettere in scena una denuncia impietosa sull’Italia del ventunesimo secolo, sulla sua corruzione e sulla degenerazione della morale, offrendo però un barlume di speranza, rappresentato dalle voci di dissenso di alcuni dei personaggi. Molta meno speranza verrà offerta in Reality (2012), film che riflette sull’ossessione per i modelli offerti dai mass media e, ancora in meno, in Dogman (2018), racconto feroce sul degrado delle periferie e sulla perdita di fiducia nelle istituzioni.
Per questi motivi Garrone è uno dei registi che meglio hanno saputo raccontare l’Italia contemporanea ed è probabilmente ciò che farà anche con Io Capitano, film al cui centro sembra esserci il tema dell’immigrazione.