“Full Time – Al cento per cento” diretto da Éric Gravel è stato presentato al Festival di Venezia 2021, nella sezione Orizzonti. È uno splendido film francese. A Venezia ha ricevuto due premi: Miglior regia e Miglior interpretazione femminile.
L’attrice protagonista è l’ottima Laure Calamy, che si è fatta conoscere a livello internazionale grazie alla serie televisiva “Chiami il mio agente!” (in Italia trasmessa da Netflix).
Davvero imperdibile, “Full Time – Al cento per cento”. Si regge su una sceneggiatura levigata, ben scritta, che arriva al cuore; fa riflettere perché racconta con sensibilità le sofferenze di chi tira avanti con stipendi ridotti all’osso.
Al centro della trama v’è un’eroina quotidiana, una madre divorziata di nome Julie. Nei panni di questa donna troviamo, appunto, Laure Calamy, attrice eclettica, sempre credibile: sia nella parti drammatiche che nella commedia.
Full Time – Al cento per cento, lucida analisi del caos odierno
Le giornate di Julie? Frenetiche. Divorziata. L’ex marito inaffidabile: si dimentica pure di versarle gli alimenti. Lui non risponde al cellulare. Lei, disperata (ha il conto in rosso), lo contatta con insistenza ma trova sempre la segreteria telefonica. Julie, due figli piccoli. Una laurea nel cassetto. Si è rimboccata le maniche: lavora in un hotel, nel cuore di Parigi. Nell’albergo (di lusso, a cinque stelle) svolge mansioni di capo cameriera. Lavoro tosto. Non si può sbagliare: i clienti sono esigenti. Le stanze devono essere tirate a lucido. Ogni minimo errore può costare caro.
Julie abita fuori mano. Ha preso casa lontano dalla metropoli perché vuole che i figli abbiano spazi per giocare, un giardino. Però l’automobile non ce l’ha e quindi spostarsi è un’odissea. Ogni mattina, dalla campagna, deve raggiungere Parigi in treno. Il viaggio è faticoso, soprattutto in tempo di scioperi che paralizzano il paese: se non hai un mezzo privato resti bloccato. L’ultima spiaggia è l’autostop a cui Julie ricorre quando non sa più dove sbattere la testa. Julie ha un mutuo da pagare ed è sempre al verde. La carta di credito bloccata. La dispensa vuota: a volte non ha i soldi per fare la spesa.
Nell’esistenza di Julie infiniti nodi da sciogliere. E infatti, il film ha un ritmo concitato. Quasi fosse un action-movie o un thriller. La colonna sonora electro descrive perfettamente la snervante routine della protagonista. Il regista Gravel, a proposito, ha dichiarato: “Full Time è un film sensoriale. Attraverso la creazione di un sottofondo musicale che riecheggia la stressante vita quotidiana di Julie ci avviciniamo a una pellicola di genere”.
Full Time – Al cento per cento, movimento frenetico
Gli scatti rapidi della macchina da presa sono la sintesi perfetta degli stati d’animo di Julie che corre senza sosta, in affanno. Non si ferma mai. Torna a casa quando è buio da un pezzo. Gli unici (rari) attimi di calma sono quelli in cui si riposa di notte, per poi svegliarsi di colpo quando trilla la sveglia e fuori il sole non è ancora sorto. La scena iniziale (molto bella) ce la presenta proprio mentre dorme.
Julie vorrebbe cambiare lavoro. Stare in ufficio. Ottiene un colloquio. Ma ciò accade quando la Francia è paralizzata da una sfilza di scioperi. Recarsi nella Capitale è quasi impossibile. Non basta alzarsi all’alba. Julie accumula ritardi a bizzeffe. La responsabile dell’hotel a un certo punto la licenzia, senza avvisarla. Julie, una mattina, viene respinta all’ingresso: abbiamo ordine di non farti entrare, le dicono.
Parigi, qui, non è il luogo ameno e sognante decantato da Woody Allen (“Midnight in Paris”). Parigi in “Full Time – Al cento per cento” è una megalopoli inospitale che divora e soffoca. Julie è sola. Tuttavia, spirito di combattente, non si arrende. La forza di volontà la premierà. In un finale inatteso che lascia un sorriso. E lei, risplende, in un dialogo al telefono, carico di emozioni.