A distanza di quasi cent’anni (targato 1932), il film di Browning scandalizza nella visione, portando il “vero” orrore a nudo, all’occhio dello spettatore. E’ la realtà che si tramuta in finzione filmica, e viceversa. Che ammalia e disgusta allo stesso tempo. Non c’è l’inganno del trasformismo. I mostri questa volta ci sono e non hanno bisogno del “trucco”. Sono lì, davanti ai nostri occhi, consci della loro diversità, del loro saper trasmettere l’orrore. Tramutando i nostri peggiori incubi nella più spaventosa realtà portata sullo schermo cinematografico.
Colpito dal clamoroso successo d’incassi degli horror prodotti dalla Universal nel 1931 (“Dracula” e “Frankenstein”), Irving Thalberg, il magnate della Metro Golden Mayer, commissionò l’anno seguente agli sceneggiatori Willis Golbeck ed Elliot Clawson la stesura di un soggetto destinato ad essere diretto dallo specialista Tod Browning (appunto il regista di “Dracula”), richiedendo esplicitamente che fosse il più orribile di tutti gli altri. Non immaginava certo che sarebbe stato bollato, fin dal giorno della sua uscita, come il più celebrato dei film maledetti ed ufficialmente il primo Cult Movie della storia del cinema.
Schlitzie – Pinhead
Accolto da reazione critiche contrastanti, il film, costato all’epoca 316.000 dollari, si rivelò ben presto un completo disastro al botteghino: nonostante i tardivi tentativi della MGM di proporlo come: uno sguardo pietoso sul mondo dei diversi.
Fu così che, reduce dai successi del “muto” con Lon Chaney e da quello del “Dracula” con Bela Lugosi, Tod Browning non si riprese più dallo scandalo. Il regista di “mostri” fin dal suo primo film (Dizzy Joe’s Career, 1924), firmò la sua ultima regia proprio con Freaks.
Dopo la prima preview del gennaio del 1932, il film di Browning venne radicalmente tagliato, a causa degli svenimenti e delle scene isteriche nella sala di proiezione. La durata del film fu ridotta di oltre mezz’ora con l’eliminazione delle scene più impressionanti, tra cui quella in cui i freaks si accalcano attorno a Cleopatra (Olga Baclanova) per vivisezionarla.
Vennero anche eliminate le scene in cui vien castrato il suo amante, il forzuto Ercole (Henry Victor), che nel finale ricompariva, obeso ed effeminato, mentre cantava in falsetto.
Liberamente ispirata al racconto Spurs di Tod Robbins (1923), l’agghiacciante parabola – la bella e avida trapezista di un circo (Cleopatra) sposa per denaro un nano, progettando di avvelenarlo ma finendo col venire mostruosamente mutilata dai freaks, i mostri da baraccone, che intuiscono il suo piano – è ancora oggi impressionante : Browning (che proveniva dal crudele universo dei circhi ambulanti e dalle vaudeville dell’America rurale) utilizzò Infatti per le sue riprese autentici fenomeni da baraccone. Molti di loro, purtroppo menomati intellettualmente – raccontò in seguito lo stesso regista a Los Angeles Time – si rivelarono spesso ferocemente competitivi e incontrollabili sul set, mettendo a soqquadro lo Studio e gli alberghi di Hollywood in cui erano ospitati e talvolta rivoltandosi a morsi. Altri, come il piccolo Angelo Rossitto (in seguito caratterista di successo per quasi quarant’anni) o il “ragazzo senza gambe” Johnny Eck, si comportarono invece da perfetti professionisti.
Curioso ibrido di melodramma giallo e horror-movie, a tratti intriso di sincera pietà per il mondo dei “diversi”, Freaks tocca vertici assoluti nell’atrocità del banchetto nuziale (durante il quale i “mostri” intonano Il demente coro di accettazione della statuaria trapezista: (“una di noi, una di noi…”), nell’inseguimento finale (in cui braccano la loro preda durante un temporale) e, soprattutto, nell’inquadratura conclusiva, nella quale la loro disgraziata vittima si rivela – monca, orba, mutilata orribilmente e ridotta a gracchiante e mentecatta “donna gallina” – come, finalmente, l’ultimo e il più orrendo dei freaks che tanto disprezzava.