Il Festival del cinema di Roma è stato istituito nel 2006 e da quel giorno “convive” con la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia come secondo festival italiano per importanza. In realtà, per quanto Venezia continui a ricoprire il ruolo di rassegna più gettonata d’Italia, nella sua (breve) storia, il Festival di Roma ha regalato al pubblico opere di grande spessore, spesso premiate successivamente addirittura agli Oscar.
Dal 18 al 29 ottobre avrà luogo l’edizione 2023, e per questo, in vista di tale evento, abbiamo deciso di selezionare i 5 migliori film che sono stati in concorso al festival nei 16 anni di vita della rassegna.
Juno, edizione 2007
Partiamo subito col botto.
Nel 2007, in occasione della seconda edizione del Festival del Cinema di Roma, Jason Reitman presenta Juno, un film che racconta la storia di una ragazzina di 16 anni che rimane incinta e deve affrontare una gravidanza che metterà a dura prova il suo rapporto con le persone che gli stanno accanto.
Il film di Reitman è diventato subito una sorta di cult per le nuove generazioni americane, con un Eliott Page (all’epoca Ellen Page) capace di interpretare la piccola Juno in maniera magistrale. L’alternanza tra toni leggeri e veri e propri pugni nello stomaco è uno dei segreti di un’opera ricordata con affetto dai più ancora oggi.
Inoltre, il film può vantare un cast di grande livello, con attori all’epoca poco conosciuti e oggi interpreti di decine di grandi produzioni. Stiamo parlando, tra gli altri, di Jason Bateman, Michael Cera, Jennifer Garner, oltre al grande J.K. Simmons (Whiplash, Trilogia di Spider-Man di Sam Raimi, Spider-Man: No Way Home).
Il successo di Juno, che ha portato il film a essere anche proiettato nelle scuole in merito all’educazione sessuale, ha fatto sì che l’opera riuscisse a trionfare al Festival di Roma prima, e successivamente agli Oscar con la Miglior sceneggiatura originale per la scrittrice Diablo Cody.
Her, edizione 2013
Si può amare una macchina?
Presentato in anteprima mondiale al New York Film Festival e in concorso all’ottava edizione del Festival del Cinema di Roma, Her rappresenta forse il capolavoro del regista Spike Jonze, autore di film memorabili come Essere John Malkovich (1999) e Il ladro di orchidee (2002), entrambi in sodalizio col grande sceneggiatore Charlie Kaufman.
Her, ambientato a Los Angeles in un futuro prossimo, racconta di Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), un uomo infelice e solo che decide di acquistare un’intelligenza artificiale che gli tenga compagnia. L’IA, a cui l’uomo dà il nome “Samantha”, finisce per essere una sorta di valvola di sfogo per Theodore, che ancora non ha superato la fine del suo matrimonio con l’ex moglie. Se inizialmente quella tra il protagonista e Samantha è una sorta di amicizia sui generis tra uomo e macchina, pian piano il loro rapporto si trasforma, diventando a tutti gli effetti una storia d’amore.
Il film stupì pubblico e critica all’epoca, con enormi lodi agli attori, specialmente Phoenix, Amy Adams e Scarlett Johansson che presta la propria sensuale voce a Samantha. Un film capace di raccontare la società contemporanea attraverso una storia commovente e toccante, un’opera che parla di solitudine, di abbandono, del bisogno delle persone di sentirsi accettate, ma anche, in qualche modo, un monito per il nostro futuro.
E a osservare il mondo 10 anni dopo l’uscita di Her, probabilmente Jonze non era andato molto fuori strada.
Gone Girl, edizione 2014
Poteva non esserci David Fincher in questa lista?
Accolto con una standing ovation al Festival del Cinema di Roma nel 2014, Gone Girl adatta sul grande schermo il romanzo di Gillian Flynn intitolato L’amore bugiardo.
In Gone Girl assistiamo alla sparizione di Amy (Rosamund Pike) e alle conseguenze di tale evento sul marito di lei, Nick (Ben Affleck), inizialmente compatito dall’opinione pubblica, ma successivamente sospettato di avere a che fare con la scomparsa della moglie. I colpi di scena non mancano in un film tanto avvincente quanto capace di far riflettere su quanto menzogna e realtà spesso viaggino su un confine talmente labile da scomparire.
Fincher mette insieme tutte le briciole che ha seminato nella sua filmografia, mischiando elementi di Seven, di Zodiac, di Fight Club in un film che, per quanto forse inferiore a quelli appena citati, è sicuramente il più maturo, anche considerando la regia misurata e impeccabile che il regista americano ha regalato al pubblico con Gone Girl.
Da segnalare l’incredibile interpretazione di Rosamund Pike, probabilmente la migliore della sua intera carriera, con una Amy camaleontica e indecifrabile che rimarrà negli annali dei grandi personaggi femminili della storia del cinema.
Lo Chiamavano Jeeg Robot, edizione 2015
C’è anche un po’ d’Italia.
Dopo una produzione abbastanza prolifica di cortometraggi, nel 2015 Gabriele Mainetti esordisce alla regia di un lungometraggio con Lo chiamavano Jeeg Robot, uno degli esperimenti (riusciti) più interessanti che il cinema italiano ricordi negli ultimi 20 anni.
Presentato in anteprima alla decima edizione del Festival del Cinema di Roma, Lo chiamavano Jeeg Robot ci mostra una Roma fumettistica, col personaggio di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) che durante una fuga dalla polizia cade in un punto del Tevere contaminato da rifiuti radioattivi e acquisisce dei poteri incredibili.
Da ladruncolo che vive di furtarelli, Enzo si trasforma suo malgrado in un giustiziere grazie all’aiuto di Alessia (Ilenia Pastorelli), la figlia di un suo amico che lo crede Jeeg Robot d’acciaio, il protagonista del celebre anime giapponese degli anni ’80.
Mainetti osò sfidare il preconcetto per cui in Italia si facevano soltanto commedie e film drammatici “impegnati”, realizzando un’opera dai toni sia cupi che scherzosi, che mostra un Bel Paese inedito, capace quindi anche di produrre i propri cinecomic. Un’operazione rischiosa, ma incredibilmente fruttuosa, che purtroppo riuscirà soltanto in parte col secondo film di Mainetti, Freaks Out.
Detto questo, però, le atmosfere di Lo chiamavano Jeeg Robot, e le interpretazioni di Santamaria, della Pastorelli, e soprattutto di Luca Marinelli nei panni de Lo Zingaro, meritano un plauso per uno dei migliori film italiani dagli anni 2000 in poi.
Un altro giro, edizione 2020
Chiudiamo questa cinquina con un po’ di Nord Europa.
Nel 2020, il danese Thomas Vinterberg (che ricordiamo essere uno dei co-fondatori, assieme a Lars von Trier del movimento Dogma 95) presenta in anteprima al Festival del Cinema di Roma un film che partendo da un presupposto molto semplice riesce ad analizzare la società intera.
Un altro giro (Druk nella versione originale) ha come protagonista Martin (Mads Mikkelsen) e il suo gruppo di amici, tutti professori in un liceo, tutti annoiati, tutti insoddisfatti delle proprie vite. Quando durante una cena uno di loro spiega la teoria dello psichiatra Finn Skårderud per cui l’essere umano dovrebbe costantemente assumere alcol per performare al meglio delle sue capacità, il gruppo decide di fare un esperimento: tutti e quattro iniziano a bere piccole quantità di alcolici, annotando e raccontando al resto del gruppo i benefici che hanno ottenuto nelle proprie vite. Chiaramente però, tale esperimento non può che portare a conseguenze nefaste.
Il film di Vinterberg fu una vera e propria sorpresa, tanto da meritarsi l’Oscar al Miglior film in lingua straniera nel 2021.
Un altro giro riflette, come tutti gli altri film del regista danese, sulle cose semplici della vita e della società, elementi che spesso diamo per scontati e che invece, a conti fatti, risultano le uniche cose che ci tengono in vita.