Da ieri pomeriggio è ufficiale. La nona opera di Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio, concorrerà come candidata alla vittoria dell’Oscar come miglior film straniero. Non si tratta dell’unica candidatura “italiana”, dato che anche Massimo Cantini Parrini (per i costumi di Cyrano) ed Enrico Casarosa (per miglior film d’animazione con Luca) sono in corsa per vincere una statuetta. L’attenzione, tuttavia, è rivolta principalmente al film del regista napoletano che ha deciso di mettere in scena stavolta una storia molto personale (e sotto tanti aspetti autobiografica). Dal 2014 (anno della vittoria de La grande bellezza) sono passati diversi anni e anche l’opera presentata è di tutt’altra matrice contenutistica. Ci si chiede, dunque, se quest’ultima possa veramente conquistare l’Academy e portare in Italia un altro premio che renderebbe l’ultimo anno solare un vero e proprio magazzino di successi artistici e sportivi.
Paolo Sorrentino uno dei fattori pro
A favore della vittoria gioca un ruolo importante il fatto che il film è una storia di origini; nello specifico, quelle del regista stesso che, ironia della sorte, va a motivare artisticamente anche il ringraziamento che fece a Maradona alla premiazione nel 2014. Un film di formazione quindi che, per giunta, ha una matrice specificamente italiana (tutti i film che consentono agli amici oltreoceano di scoprire di più sul nostro paese sono di base molto apprezzati). Anche nel caso de La grande bellezza si andava, in un certo qual modo, a descrivere tratti caratteristici (e decadenti) dell’Italia con, tuttavia, un intento più critico. Nel caso di È stata la mano di Dio il piglio è nettamente più celebrativo e anche la regia stessa ne ha beneficiato (risultando più pacata, diretta ed emotiva). Per questi motivi il film ha infine ricevuto l’endorsement di un gigante come Robert De Niro che ha lodato la capacità di Sorrentino di dipingere fedelmente una città intera, arrivando anche a dichiararsi “toccato” dall’opera.
È stata la mano di Dio – fattori contrari
Se alcuni degli altri film candidati nella medesima categoria non costituiscono una concreta minaccia (partendo da un’esperienza minore e un seguito statunitense più basso) lo stesso non può dirsi di Drive my car, film giapponese di Ryusuke Hamaguchi che ha ricevuto molte candidature (alcune anche inaspettate). Quest’ultimo, a differenza dell’opera di Sorrentino, ha anche vinto ai Golden Globe, altro motivo per cui il film giapponese può sembrare più avanti in fatto di apprezzamento artistico (in molti considerano i premi appena citati come un preludio sincero agli Oscar). Infine, si può asserire che (proprio per la diversità rispetto a La grande bellezza) l’intento di È stata la mano di Dio è sicuramente più emotivo ma anche di minor impatto. Nel 2014 Sorrentino ci aveva deliziato, e sorpreso, con un effetto scenico molto forte; stavolta, invece, il regista ha dimostrato grande sensibilità ma il prodotto stesso è meno d’impatto rispetto alla sua opera precedente.