E ora parliamo di Kevin. Parliamo di un film del 2011 per la regia di Lynne Ramsay che ha colpito pubblico e critica ma che non ha avuto accesso a un riconoscimento degno della qualità insita nel progetto stesso. Ha portato a casa soltanto una candidatura ai Golden Globe come miglior attrice protagonista (Tilda Swinton, a proposito, è stata mastodontica).
Il film parla di Kevin, su questo non ci sono dubbi. Il titolo preannuncia in un certo senso la non categorizzazione della trama in un campo ristretto: è un film palesemente drammatico ma che a livello di contenuti narrativi non ha un filone principale. Il succo della questione non sono tanto gli eventi ma la sfera emotiva dei personaggi.
Tratto dal quasi omonimo romanzo di Lionel Shriver (Dobbiamo parlare di Kevin) le macro-tematiche della pellicola sono da ravvisarsi nel disagio minorile e di come la società cerca di “curare” gli esiti di devianza che possono insorgere, incanalandoli in qualcosa di sano (o, quanto meno, costruttivo).
E ora parliamo di Kevin parte da un evento scatenante che è passato alla cronaca come quello che ormai in America è un trend purtroppo ancora in auge: la strage armata a scuola. Questo è il fulcro narrativo che funge da elemento strategico per lo sviluppo dei vari rami contenutistici.
E ora parliamo di Kevin – La Trama
E ora parliamo di Kevin comincia praticamente in media res. Eva (una donna armeno-americana fredda ma anche molto sensibile) ha dei flashback della sua vita passata. All’inizio sono ricordi di felicità: è a Pamplona dove beve e volteggia nella passata di pomodoro che la festa di paese è solita utilizzare per imbrattare le strade.
Poi la si vede sotto la pioggia; birra e sigaretta in mano, accanto a colui che ben presto diventerà suo marito. I ricordi non sono tutti positivi però: all’improvviso il pomodoro si trasforma in sangue e capiamo che Eva nasconde una vita piena di dolore.
Gli ritorna alla mente Kevin, suo figlio, il quale è legato a una memoria più oscura, difficile da affrontare. Si ripercorre dunque la crescita del bambino che da subito (sin dai primi anni di vita) ha dimostrato di essere un umano fuori dal comune, con disagi e colmo di quella rabbia che porta a incomprensioni varie.
Se con il padre si è sempre comportato bene (forte di un’empatia che si genera naturalmente) con la madre il rapporto è necessariamente più conflittuale. La colpa non è solo del piccolo: Eva collega la sua nascita alla sostanziale perdita di aspirazioni professionali. La stessa vita che aveva dedicato alla creazione di un suo proprio tour operator ora non c’era più (almeno dal suo singolare punto di vista).
Ha dovuto focalizzare l’attenzione su di lui che ricambia invece con mutismo infantile che sfocia poi in ribellione adolescenziale. Tutto nella norma sembrerebbe. Eppure, l’ira di Kevin cresce sempre di più, fino a sfociare in odio recondito per la sua stessa famiglia.
E ora parliamo di Kevin prosegue arrivando poi alla presentazione dell’atto finale (nella realtà, ciò che invece ha cambiato per sempre la vita di Eva). Il giovane con un arco compie una strage all’interno del suo liceo. Adesso la madre è quindi costretta a fare i conti, non solo con suo figlio, ma anche con le vite stravolte di altrettante famiglie.
Di chi è la colpa?
E ora parliamo di Kevin è un film graffiante, dall’indubbia levatura emotiva. Regia ottima e casting brillante, completano un quadro tecnico ai limiti della perfezione. D’altronde, chi meglio di Ezra Miller per interpretare il ruolo di Kevin?
Si parlava dei flashback che Eva ha all’inizio del film: questa è una vera e propria chicca narrativa di Ramsay che ha già in mente da subito di far percepire al pubblico come la psiche sia un calderone. All’interno della mente umana convergono diversi tipi di pensieri, diverse forme emozionali e l’allegria si accoppia in maniera magnetica alla tristezza.
Si tratta inoltre di un film di sostanza (non che la forma sia lasciata in disparte) ma Ramsay vuole andare al concreto della questione, ponendo domande alle quali tutti i genitori dovrebbero prima o poi avvicinarsi. Tutto questo poteva essere evitato? Quanta percentuale di colpa si può attribuire alla famiglia e quanta invece è imputata al singolo individuo?
E ora parliamo di Kevin non da troppe risposte ma bisogna fare attenzione ai dettagli stilistici: un’immagine che offre tanti spunti di riflessione è ad esempio la camera del ragazzo. La stessa è vuota, monocolore, priva di poster o effetti personali a ornamento del tutto. Segno di una natura emotiva piatta.
E ora parliamo di Kevin mette il pubblico davanti alle mancanze di una madre ma anche alla natura enigmatica del figlio. Se è vero che tutto parte dalla famiglia, è anche giusto specificare che il mondo lo si scopre da soli. Se da un lato rileva una Eva piena di entusiasmo (da giovane) e ricca di slanci vitali, altrettanto non si può dire della fanciullezza di Kevin.
Il bimbo non ha mai provato divertimento, gioia e forse nemmeno dolore. La sua vita è sempre stata immersa nell’ambiguità d’animo. Il regista è stato maniacale nel cogliere questo e ha donato alla critica un’opera magistralmente diretta. I punti di tensione sono inseriti generosamente in scena (si ha sempre la sensazione che stia per succedere qualcosa di catastrofico).
Forse è questo il punto: le avversità sono dietro l’angolo, si possono evitare ma non prevedere. Segno di una “colpa” che è divisa a metà. I destini uniscono sempre, nella buona e nella cattiva sorte: non ci sono quasi mai solo sconfitti o vinti, ma entrambi le parti dimostrano di avere qualcosa da perdere.