Criminali da strapazzo (2000), in inglese Small Time Crooks e liberamente ispirato a I soliti ignoti (1958) di Monicelli, è il “simpatico vascello” con cui Woody Allen approda al nuovo millennio. Un film molto divertente, a oggi uno dei maggiori successi del regista, ma, nonostante ciò, una pellicola minore all’interno della sua filmografia. Risente in una certa misura della mancanza di quella verve che da sempre contraddistingue lo spigliato e originale umorismo dei più grandi lavori del regista. È come se Woody Allen desse l’impressione di essersi già giocato quasi tutte le carte a disposizione negli anni precedenti. Impressione che, fortunatamente, ben presto sarà smentita da opere come Match Point (2005), Midnight in Paris (2011) e Blue Jasmine (2013), ma che in questo caso sembra essere più che azzeccata. Nel cast spiccano: Woody Allen, Tracey Ullman, Elaine May, Hugh Grant.
‘Criminali da strapazzo’: trama
La storia ruota attorno a Ray Winkler (Woody Allen) e Frenchy Winkler (interpretata da Tracey Ullman), una coppia di coniugi intenzionata a rapinare una banca. Per potervisi intrufolare senza essere scoperti, Ray escogita un piano fantasioso, ma preciso. Affittare i muri di un edificio quasi limitrofo alla banca, come copertura avviare una pasticceria, e, nel mentre, scavare un tunnel nel seminterrato che conduca i ladri direttamente nel caveau. Una serie di goffi tentativi impedisce la riuscita della rapina, ma al contempo la pasticceria gestita da Frenchy si rivela un successo. Improvvisamente la coppia e la squadra da “strapazzo”, messa su da Ray per il furto alla banca, si ritrovano a capo di una delle aziende produttrici di biscotti più grandi al mondo.
Ingredienti che non stancano mai, ma che Allen ha saputo utilizzare meglio
Una delle prime osservazioni che vengono spontanee dopo aver visto Criminali da strapazzo è che gli ingredienti ci sono, ma, forse, non sono mischiati benissimo. Oppure, per essere più precisi, non mancano le caratteristiche che hanno fatto di Woody Allen uno dei più importanti registi degli ultimi trent’anni, però sembrano non rinnovarsi. In qualche modo paiono adagiarsi sull’asettica comodità della definizione “marchio di fabbrica”. Allen, difatti, ha saputo su quali presupposti e con quali prospettive forgiare il proprio umorismo (uno dei più riusciti della Storia del Cinema); lo ha fatto e ha funzionato; ne è consapevole e sa che potrà funzionare ancora.
Perciò, condisce Criminali da strapazzo della solita irresistibile ironia e del delicato, ma abituale sarcasmo che, assieme, definiscono quella satira alla morale borghese altolocata di cui egli stesso è a suo modo portatore, ma di cui ne riconosce sapientemente limiti e assurdità. Allen è incredibile proprio per questo, per questa sua dicotomia paradossale che riversa cinicamente nel proprio cinema.
Tuttavia, in questa occasione i tipici elementi “alleniani” sono tradotti, quasi reiterati, senza particolare profondità. Non significa che il film non faccia ridere, anzi probabilmente in quello ci riesce alla grande, ma non procede oltre. Le riflessioni, a tratti esistenzialiste, che capolavori passati, come Io e Annie (1977), Manhattan (1979), Hannah e le sue sorelle (1986), Crimini e Misfatti (1989), Harry a pezzi (1997), suscitavano nello spettatore in una certa misura svaniscono. Allen sembra tornare alla demenzialità della prima parte della sua carriera, ma dopo più di trent’anni non risulta una scelta così genuina.
La mano del maestro non può mai raffreddarsi del tutto
È vero, gran parte del film sa di già visto, soprattutto se comparato con la filmografia di Allen stesso. Ma è altrettanto vero che la genialità fatica a nascondersi completamente dietro la pura e statica ripetizione. In Criminali da strapazzo, come ci sono alcune scene perfettamente funzionali a sottolineare goliardicamente l’impossibilità di inserimento dei protagonisti in un mondo a cui non appartengono (una Pepsi versata in un calice pacchiano, un’arpa che nessuno suona piazzata al centro di un soggiorno, Ray che nota nello spessore delle cornici l’unica differenza tra due quadri) così alcuni personaggi sono caratterizzati in modo divertentissimo: dai compagni criminali di Ray (che spariscono quasi ingiustificatamente nella seconda parte) alla spassosa e svampita May.
Eppure, le doti intuitive di Allen svelano ancor più la loro presenza nella sequenza del programma TV dedicato all’esplosivo successo della Sunset Farms (l’azienda dei Winkler). Il giornalista incaricato approfondisce la struttura dell’impresa, cercando di fornire maggiori informazioni possibili ai telespettatori sul modo in cui essa viene gestita. Il risultato è uno sketch spassoso, che, nel suo decretare l’inspiegabilità dei gusti del pubblico, risulta cinematograficamente autoreferenziale e quindi metatestuale.
‘Criminali da strapazzo’: conclusione
Criminali da strapazzo, per chi cerca un Woody Allen ancora più leggero del solito, è il film perfetto. Certamente meno brillante e innovativo di altre sue opere, ma sicuramente in grado di strappare sorrisi attraverso dei momenti e delle battute comicamente esilaranti. Probabilmente si tratta di un film di passaggio nella carriera del regista. Una di quelle opere figlie della volontà di fare qualcosa, piuttosto che di dire effettivamente qualcosa di realmente nuovo. Non inciderà il suo nome indelebilmente nelle tavole sacre della Settima Arte, ma se la cava senza infamia e senza lode. Però, terminata la visione, è difficile non concordare su due cose di Woody Allen: che gusto musicale incredibile e che bella la sua New York.
Il film è possibile recuperarlo su Prime Video.