La struttura narrativa di un film si evolve generalmente in tre atti: il primo è di solito il più denso di informazioni, presenta i protagonisti e prepara lo spettatore a ciò che avverrà in seguito; il secondo è caratterizzato dall’evento principale che mischia tutte le carte in tavola; mentre il terzo è quello dedicato alla risoluzione di tutte le trame e dei conflitti, l’equilibrio viene ritrovato e i personaggi ritornano al punto di partenza. Ovviamente non tutti i film rispettano queste regole non scritte, alcuni funzionano anche con un intreccio differente altri invece ne risentono pesantemente. Con Codice 999 John Hillcoat prende le distanze dal racconto classico e cerca di creare una cronaca neutrale in cui nessun protagonista primeggia sugli altri e nessun colpo di scena avviene nei tempi prestabiliti. Da un lato queste mancate sicurezze apparirebbero un punto di forza ma dall’altro potrebbero destabilizzare i tradizionalisti.
In Codice 999 non esiste un solo evento principale, Hillcoat ne realizza ben due, uno dei quali (una spettacolare rapina) apre la pellicola. Il film parte in quarta per poi rallentare pericolosamente fino a sprofondare in un blocco narrativo nella parte centrale. Una volta effettuata la rapina non molto propizia, il clan di criminali e poliziotti corrotti ritenta la fortuna, ma questa volta la posta in gioco è troppo alta – persino per un gruppo numeroso e ben assortito come loro. L’adrenalina iniziale viene persa nel corso degli eventi, che nel frattempo introducono protagonisti di ogni genere: dall’ex poliziotto tossicodipendente, al novellino del gruppo (Casey Affleck), al capo della polizia con una personalità sopra le righe (Woody Harrelson), fino ad arrivare al capo mafia russo (Kate Winslet), il tutto accompagnato da teppisti messicani tatuati che intralciano di tanto in tanto il lavoro dei nemici.
La seconda rapina, quella che prevede l’utilizzo del codice 999 (agente a terra), viene premeditata in ogni dettaglio ma, come accade spesso nei crime o polizieschi, le cose non procedono secondo i piani prestabiliti. La situazione non viene sfruttata al massimo dal regista ma diventa un vero e proprio intoppo, difficile da oltrepassare per i protagonisti. L’opzione che viene presa in considerazione è quella di concludere nel miglior modo possibile cercando di far uscire tutti puliti. E, proprio quando c’era da accelerare, di nuovo, Hillcoat fa un passo indietro e si nasconde dietro al cast pluripremiato. I personaggi si reggono in piedi solamente grazie ai loro interpreti, che cercano di renderli credibili pur non avendo sostanzialmente niente tra le mani. A differenza del precedente film del regista Lowless, in cui i personaggi erano pur sempre numerosi ma ognuno di loro godeva di un’identità ben definita (e alcuni dei quali possedevano aneddoti relativi al passato); in Codice 999 è difficile persino ricordare i nomi di tutti i partecipanti. Nessuno viene esaltato, non sappiamo perché i nostri protagonisti abbiano intrapreso questa strada. Come mai i poliziotti hanno scelto di fare il doppio gioco e schierarsi dalla parte del nemico?
La debolezza del film sta proprio nel voler esagerare. Esagerare con il numero di personaggi ed esagerare con le sottotrame (che restano piccole parentesi aperte e mai chiuse). Oltre allo scontro sociale dei poliziotti e il clan del messicani (zone altolocate vs quartiere periferico) vi è anche il classico binomio buoni vs cattivi, che si ripercuote anche nella lotta di uomini vs donne (o donna, nel caso di Irina/Winslet). La bipolarità dei poliziotti corrotti avrebbe agevolato la narrazione se fosse stata valorizzata a dovere, mettendo a disposizione dello spettatore un punto di vista smezzato e sbavato come la loro anima frammentata. Invece dei loro corpi restano soltanto dei personaggi inanimati, doppioni di loro stessi: prede e cacciatori, salvatori e nemici della sicurezza pubblica, disonesti e al tempo stesso fedeli.
Tutto questo eccesso viene poi arrestato dal minimalismo della regia. Hillcoat seleziona pochi luoghi: la maggior parte delle scene vengono girate all’interno delle automobili (o furgoni nel caso dei criminali), alcune vengono ambientate in casa e solo la minor parte in esterni. La fotografia resta invariata dall’inizio alla fine, se non per delle sfumature di rosso che compaiono per pochi secondi. Il rosso resta l’unica macchia cromatica capace di stuzzicare la curiosità dello spettatore in diverse occasioni, come l’esplosione di vernice che imbratta i soldi nella prima parte, il fuoco delle armi, il sangue che sgorga sulle strade e infine il codice annunciato.
Voto Autore: [usr 2,5]