Disponibile su Disney Plus da metà novembre, Ciao Alberto è il piccolo corto-sequel di Luca, il precedente lungometraggio firmato Pixar, uscito sulla stessa piattaforma la scorsa estate, che ha riscosso molto successo a qui e oltreoceano.
Da leggersi come anticipazione di un possibile ritorno su grande schermo di nuove avventure legate al duo di giovani mostri marini integrati nella vita della provincia litorale italiana anni 60, oppure da analizzarlo come mero epilogo accessorio di un fortunato lavoro, Ciao Alberto è comunque un improprio e piacevole spin-off che sintetizza in cinque minuti di vivacità funambolica e tenera franchezza, le pulsioni profonde di Alberto, uno dei coprotagonisti di Luca, dando a quel poco più che bambino, così volenteroso ed intimamente solo, la conferma che sì, può esistere una mano tesa nella vita reale.
Ciao Alberto vede in veste di produttore esecutivo lo stesso Enrico Casagrande, già regista ideatore di Luca, mentre alla direzione trova il debuttante MacKenna Harris, che ben conosce il materiale poiché ne ha seguito le fasi fin dal lavoro principale.
Ciao Alberto – trama
E del variopinto antenato, il corto riprende con cura l’ambientazione ed alcuni personaggi tra i più simpatici e cruciali a partire proprio da Alberto, il compagno di avventure di Luca, come lui mostro marino, un po’ drago, un po’ pesce, capace di trasformarsi in essere umano una volta sulla terra, ragazzino indomito, apparentemente spavaldo, dal cuore buono e generoso, che ha salutato il suo miglior amico per lasciarlo andare verso la “grande città” a sperimentare come sia frequentare una scuola.
Lui è l’eroe rimasto, quello che ha fatto un passo indietro stabilendosi nel paesino di Portorosso, ed ora si ritrova alle prese con la sua nuova “normalità”, come aiutante tuttofare del pescatore Massimo, che gli offre ospitalità. L’uomo è un lupo di mare, taciturno, rispettato, buffo, ma dai modi spicci e poco amichevoli: Alberto è deciso a conquistarlo, facendo di tutto affinchè quel padre inaspettato possa essere fiero di lui e del suo lavoro.
Inutile dire che non riesce a combinarne una giusta, inanellando una serie crescente e disastrosa di fallimenti che mettono via via alla prova la pazienza ed il mutismo del corpulento Massimo, il quale , comunque, si ostina da parte sua, ad ignorare, nel bene e molto più spesso “nel male”, gli sfaceli di Alberto, reagendo solo con grugniti e grossi sospiri, il più delle volte girando sguardo e tacchi altrove e lasciando il poveretto in disparte con la sua colpa.
Uno dei guai più clamorosi commessi dal ragazzino spinge i due neo-familiari ad un confronto, ognuno con i propri modi, che ne rivela i rispettivi cuori: due emisferi lontani e diversi solo in apparenza, poiché mossi intimamente dai medesimi bisogni.
Ciao Alberto – recensione
Breve, coloratissimo, apologo sull’esercizio della paternità e della “figliolanza”, sugli ostacoli, silenzi compresi, che allontanano e fraintendono un legame importante, quello della genitorialità acquisita, capitata. L’adozione che si sceglie, si sopporta, si possiede senza sapere, si costruisce insieme, trovandole una forma, si accetta come conseguenza del riconoscimento nell’altro di qualcosa che ci appartiene.
Alberto è stato rifiutato dal padre naturale, che lo ha di fatto abbandonato, lasciandolo solo a se stesso, come rivelato già in Luca, e lui ne soffre profondamente reagendo però all’opposto: si mostra infatti senza paure e sicuro di sé, appassionato della vita e vittorioso, mentre tutto ciò che vorrebbe e gli manca è un punto di riferimento. Prima c’era il suo compagno di avventura; ora c’è un adulto onesto ed enigmatico che gli insegna a pescare e gli prepara pasta a pranzo e a cena.
Dal canto suo Massimo, figlio di un padre cui ha dato forti grattacapi un tempo, ha un istinto protettivo forte, un carisma singolare, una presenza che anche nel silenzio e nella sua fisicità bizzarra non manca mai di esprimersi: desidera far sentire le persone a proprio agio e sicure, ma gli mancano i modi, che il sale del mare e la ruvidezza del suo mestiere gli fanno dimenticare.
Entrambi sono accomunati dal fatto di mettersi uno nei panni dell’altro: Alberto presumendo troppo e prendendo per rifiuto ogni mancato scambio con Massimo; Massimo immaginando di non voler eccedere nei rimproveri verso Alberto, come a lui era capitato di subire.
Il timore di entrambi è non ricadere due volte in uno stesso errore fatto; così Alberto fuori di sé con la valigia in mano, pronto ad andarsene via perché convinto di non valere niente, chiama Massimo per sbaglio papà nella rabbia mista ad impotenza che lo domina ed il buon vecchio lupo di mare si ferma, respira e rivela che suo padre una volta si era talmente alterato con lui da fare un buco nel muro con un pugno: “cosa è successo poi?” chiede in triste apprensione il ragazzino, e l’uomo come se fosse la cosa più pacifica del mondo “lo abbiamo aggiustato”. Per uno sbaglio, un rimedio.
Non c’è posto per il trionfo del disagio nell’universo di Luca e anche in quello di Alberto; dell’inclusione si fa una lezione e un esempio, mentre il rifiuto non è contemplato, il fallimento è un mero accidente cui si mette riparo insieme e tutto il resto è libera esperienza di vita.
Armonia di colori lussuosamente resa rende la fotografia similare alla geografia d’ambientazione mediterranea del nostro paese, esattamente come accadeva in Luca, mentre il ritmo della breve ed intensa storia è, al pari del predecessore, indiavolato ed ironico, capace di volteggiare come una sincope da uno scempio all’altro del povero Alberto, da una promessa ad una delusione, da un particolare di folklore, ad una richiesta d’aiuto.
L’incipit è affidato ad una lettera che il suo amico Luca gli scrive dalla città, in cui spende parole di entusiasmo per la scuola, ed esprime, anche, un’indiretta mancanza dell’alleato più fedele che gli sia capitato di trovare e grazie al quale sta realizzando il suo sogno. La risposta di Alberto vorrebbe essere altrettanto positiva, ma sfoga in sé il limite della sua convivenza con Massimo, il silenzioso gigante del mare con un braccio solo di cui non riesce ad intercettare i pensieri.
Comico come nel lungometraggio ritroviamo il gatto Machiavelli con le sue pose da perfetto sornione in grado di rappresentare la chiosa ironica e teatrale che incastona le vicende. Ciao Alberto concentra nella schiettezza e nella vitalità il suo maggior merito, conquistando con apparentemente poco l’affezione di piccoli e meno piccoli e lasciando masticare il mito della paternità all’interno una famiglia imperfetta, semiumana, che trova nelle medesime lacune la propria inesauribile forza trainante.