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Changeling

La tragedia dell’11 settembre ha radicalmente stravolto l’immaginario americano, sia nella realtà quotidiana, sia nelle arti, e in modo particolare nel cinema. Improvvisamente, gli onnipotenti Stati Uniti, la democrazia più salda del mondo, il paese dei sogni e dei sognatori, si sono ritrovati a dover fare i conti con se stessi, con le cause e i lasciti di quell’attacco, ma anche con veri e propri bilanci ed esami di coscienza sulla storia americana tout court. La purezza dell’“Americaness”, fino a quel momento inattaccabile certezza per ogni cittadino degli Stati Uniti, crollò inesorabilmente, come World Trade Center. E forse, il dolore per le quasi tremila vittime delle Torri Gemelle è stato accresciuto dalla sensazione di inedita impotenza che seguì al più grave attacco agli USA di ogni tempo. Per muoverci solo all’interno dei confini di Hollywood, tutti i maggiori registi di quella generazione hanno affrontato, nei loro film, anche se magari non apertamente, questa presa di coscienza, dolorosa quanto inoccultabile (da Scorsese a Spike Lee, da Spielberg a Jonze e Kaufman). Improvvisamente, un po’ com’era accaduto con la rivoluzione della New Hollywood, la giustizia degli Stati Uniti, nelle pellicole, non era più infallibile ed eroica, ma corrotta e vile, in un senso di paranoia generale che abbraccia ogni aspetto della quotidianità dei cittadini medi, veri eroi dei film post 09/11. In questo senso Changeling, diretto da Clint Eastwood nel 2008, rappresenta uno dei film più indicativi di questo clima assolutamente nuovo per le produzioni hollywoodiane.

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La storia di Changeling si svolge nella Los Angeles del 1928. La centralinista Christine Collins è una madre nubile, abbandonata dal marito subito dopo aver dato alla luce suo figlio Walter. Un giorno, richiamata d’urgenza in ufficio di sabato, lascia il giudizioso bambino a casa da solo, promettendogli come ricompensa una domenica da ricordare. Ma al suo ritorno Walter non si trova. Immediatamente Christine contatta la polizia di Los Angeles, piuttosto malfamata, accusata di corruzione e negligenza. Il panico si trasforma in tragedia quando, settimana dopo settimana, il bambino è ancora disperso. La donna ha perso ormai ogni speranza ma i detective, passati ben cinque mesi, la contattano dopo aver trovato un bambino che sono convinti essere proprio Walter. Christine, approdata piena di speranza alla stazione, si ritrova di fronte un bambino che non è il suo. La polizia la convince a prendersi cura del trovatello: la lontananza prolungata da persone care può comportare difficoltà nel riconoscimento di esse quando ritornano. Così Christine, pur senza convincersi mai di aver ritrovato Walter, porta a casa il bambino. Lì però, si rende conto che il piccolo è più basso di suo figlio di ben nove centimetri. Così comincia la sua battaglia, spalleggiata dal reverendo presbiteriano Gustav Briegleb, contro il dipartimento di polizia di Los Angeles, proprio nell’anno delle elezioni del primo cittadino. La donna diventa una vera e propria minaccia per le istituzioni, e viene rinchiusa in manicomio, dove ogni giorno il personale tenta di convincerla a firmare le carte di archiviazione del caso. Eroicamente Christine continua la sua battaglia legale. Anni dopo, si scopre che in uno sperduto ranch del deserto californiano, un pazzo di nome Gordon Stewart Northcott ha tenuto in ostaggio e barbaramente ucciso a colpi d’ascia venti bambini, raccattati per le strade cittadine, seppellendone i resti. Solo tre minori sono riusciti a sopravvivere. L’unico dato certo è che tra essi c’era anche Walter Collins. Christine, ottenuta giustizia e liberata dall’ospedale psichiatrico, attese suo figlio per il resto della sua vita, senza sapere il suo destino.

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E dire che tali tematiche non erano certamente nuove ad un regista come Clint Eastwood. L’ex ispettore Callaghan, infatti, da sempre si è distinto, soprattutto dietro la macchina da presa, come uno dei più critici e irreprensibili cantori dell’America al cinema. Un film come Mystic River, ad esempio, incarna la quint’essenza del prodotto cinematografico post-traumatico contemporaneo, così come, parzialmente, anche Million Dollar Baby. Changeling, da questo punto di vista, rappresenta uno dei picchi della produzione dell’Eastwood regista, pur non vedendo quasi mai riconosciuto questo ruolo (anche a causa dell’uscita, pochi mesi dopo, del superbo Gran Torino). La storia distributiva di Changeling è curiosa: al momento della sua uscita in sala (novembre 2008) il film, che aveva già ottenuto ottime recensioni durante il Festival di Cannes di quell’anno, fu tutt’altro che un flop, andando abbastanza bene al botteghino e facendo parlare molto di sé. Il fatto che nella primavera del 2009 uscì quello che forse è considerato il capolavoro assoluto di Eastwood, insieme a Million Dollar Baby, però, finì per far sì che la pellicola su Christine Collins cadesse improvvisamente nel dimenticatoio. Il risultato fu che un film che si avvicina alla definizione di capolavoro, non fu valorizzato in sede distributiva.

La Los Angeles che il regista porta in scena nel film del 2008 è una sorta di terra di mezzo tra gli sfarzi dei “Roaring Twenties” e il vago rumore di qualcosa che si sta rompendo. È una città che ha appena vissuto il decennio migliore della sua storia (lo spostamento dell’industria cinematografica dalla East Coast a Hollywood, l’incredibile incremento demografico ecc.), ma che convive, come tutti gli Stati Uniti dell’epoca, anche con alcuni spettri, come il proibizionismo e la criminalità crescente. Ne va da sé che in una scenografia del genere le forze dell’ordine non possano essere del tutto garanti della giustizia, ma profondamente corrotte e interessate solo alla popolarità. Un’età complessa e una città complessa, destinata a un crollo (quello della Borsa del ’29) che facesse saltare il banco, e riconsiderare la situazione dell’“essere americani”. Una situazione in tutto simile a quella degli Stati Uniti del 2008. Per parlare in modo esauriente dell’oggi, il cinema contemporaneo americano ha quasi sempre preferito andare indietro nel tempo (Good Night and Good Luck, Django Unchained, Shutter Island, Lincoln).

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Indubbiamente una storia come tante portate sullo schermo da Eastwood, che ha come protagonista un outsider che si ritrova a dover lottare da solo contro tutti, necessita di un interprete carismatico, che possa rendere credibile e coinvolgente l’eroe. La scelta è ricaduta su Angelina Jolie, un’attrice che negli ultimi anni aveva leggermente abbassato il proprio raggio d’azione, preferendo a ruoli complessi (come quello dell’adolescente sociopatica di Ragazze interrotte che le è valso l’Oscar del 2000) interpretazioni mainstream meno impegnative e più redditizie (Lara Croft, Mrs. Smith ecc.). Quello che a molti esperti era sembrato un azzardo di Ron Howard, il primo regista a cui fu affidato il progetto e che ha poi assunto il ruolo di produttore, si è rivelato un colpo di genio assoluto. L’interpretazione di Christine Collins è per distacco la miglior prova d’attrice della carriera per la Jolie. Si è calata perfettamente nella parte di una donna forte, in anticipo sui suoi tempi, castigata dal destino e dalla società, ma che non ha mai smesso di combattere per ciò che era giusto. Un’eroina tremendamente moderna ancora oggi, che manifesta una forza incredibile, soprattutto quando è di fronte ai suoi nemici, che siano essi poliziotti o assassini. La battaglia che Christine porta avanti per tutto Changeling, è fatta principalmente di sguardi. All’inizio dell’intrigo è una donna che sa già di essere forte, ma che non crede che possa effettivamente avere la meglio sui poteri forti. Consiglia a suo figlio di colpire per ultimo, mai per primo, perché sa benissimo che una donna come lei, da sola, abbandonata dal marito, che lavora e cerca di essere anche una buona madre, non può permettersi di alzare la voce senza che prima qualcuno l’abbia attaccata. Per tanto, finisce sempre per abbassare testa e sguardo, e per accettare le ingiustizie che la polizia le propina. Ma nel corso della pellicola diventa sempre più sicura di sé (anche grazie al decisivo appoggio del reverendo Briegleb, che sposta il conflitto da un piano di Davide contro Golia ad una resa dei contri tra due istituzioni giganti, la polizia e la chiesa), fino ad arrivare a guardare negli occhi e a mettere al muro con violenza l’uomo che, verosimilmente, ha massacrato il suo bambino. Christine Collins è una supereroina ante litteram, e gli splendidi occhi celesti e profondi di Angelina Jolie, spesso resi ancora più intensi dall’ombra dei cappellini anni ’20 che il suo personaggio è solito portare, contribuiscono in modo decisivo alla sua perfetta resa di Changeling in chiave cinematografica.

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Ma Changeling è uno dei migliori film mai diretti da Clint Eastwood anche sotto l’aspetto della struttura generale. Per quasi metà film lo spettatore ha l’impressione che, per quella pellicola, il regista abbia deciso di modificare la propria poetica tradizionale, raccontando attraverso le immagini un semplice quanto standard dramma giudiziario al femminile. D’un tratto, però, esplode la crime story, che non è semplicemente l’esposizione di alcuni fatti di cronaca nera, ma il racconto, quasi senza censure di alcun tipo, delle stragi di uno dei più efferati serial killer del Novecento americano. Il personaggio di Northcott (Jason Butler Harner) è quanto di più terrificante Eastwood abbia mai portato in sala: un uomo con la faccia da bambino che uccide dei ragazzini per il puro gusto di farlo, senza nessun tipo di motivazione. Le scene di violenza sono rappresentate quasi senza nessun tipo di remora, nel senso che, pur rimanendo le vittime fuori campo, noi spettatori, vedendo il killer con il volto insanguinato sbattere con estrema violenza l’ascia verso il basso, è come se vedessimo quegli angioletti venire fatti a pezzi senza pietà. La scelta di Eastwood è certamente dettata in primo luogo da esigenze di distribuzione (quale produttore manderebbe nelle sale un film dove si assiste a scene di massacro di minori?!), ma è anche studiata in modo intelligentissimo dal punto di vista visivo. Indicative sono le scene dove il cugino di Northcott, un ragazzino complice suo malgrado del parente, nella sala d’attesa per parlare con il detective, vedendo un altro bambino battere per gioco un righello sul ginocchio, rivede, in montaggio alternato, il maniaco che fa a pezzi una vittima, e lo supplica di smetterla. Oppure quella in cui, quasi come in un dipinto degli impressionisti, vediamo il pazzoide prendere un bambino dal pollaio, portarlo nella stanza accanto e dare sfogo alla sua follia. In quest’ultimo caso la vista raccapricciante ci viene impedita solo da una porticina che copre il pavimento, mentre la parte superiore della stanza (quella del busto dell’assassino) appare chiarissima. È da questi dettagli che si vede la mano di un maestro della regia, e non di un semplice professionista del settore. Senza farci vedere direttamente l’orrore, Eastwood riesce a duplicare il nostro raccapriccio.

Changeling è un grande film, e il fatto che, un po’ goffamente, sia passato in sordina e non sia quasi mai ricordato come uno tra i migliori lavori mai realizzati da Eastwood, non inficia minimamente sulla sua qualità intrinseca. Tra le note di merito non ancora citate direttamente, qualche parola va certamente spesa sulla sceneggiatura del fumettista J.M. Straczynski, che deve al comic book molti aspetti drammaturgici, anche grazie alle scelte di natura fotografica, molto vicine a quelle dei graphic novels contemporanei. Inoltre, le musiche, dello stesso Eastwood: solitamente di fronte all’Eastwood musicista la critica si divide nettamente tra coloro che elogiano l’istrionismo del regista, che molti osano paragonare addirittura al modus operandi di Chaplin, e coloro che si rammaricano per non aver sentito una colonna sonora adeguata alle immagini che scorrono sullo schermo. La partitura musicale di Changeling è forse la migliore mai scritta dal regista. È una di quelle che accompagnano meglio le immagini, accrescendone anche in molti punti la componente drammatica.

L’America raccontata al cinema negli anni dell’immediato post-9/11 dà allo spettatore l’impressione di non essere più la potenza superiore ad ogni altra. Il cinema di Eastwood tramuta questa impressione in cupa certezza. Changeling, in questo senso, rappresenta uno dei vertici della produzione del regista.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Uno dei migliori film diretti da Clint Eastwood, che non viene mai ricordato come tale. Una pellicola che racconta insieme due epoche (gli anni '30 e il post 11 settembre) lontane nel tempo ma vicine nelle suggestioni. Da riscoprire.
Redazione
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