Dopo le critiche all’episodio otto di Star Wars, Rian Johnson torna al cinema con una sceneggiatura mirabolante più simile agli intrichi di Looper, film del 2012 che esplorava i viaggi nel tempo, piuttosto che alla saga spaziale. Infatti, il regista-sceneggiatore ha dichiarato che coltivava l’idea di Knives Out fin dal 2005 dopo l’uscita del suo film Brick.
Knives Out è dichiaratmente un whodunit (in italiano letteralmente chi l’ha fatto?), ovvero un giallo deduttivo che prende ispirazione dai classici di Agatha Christie, e quindi rispetta il meccanismo a progressiva esclusione dei sospettati che viene poi inevitabilmente ribaltato dalla sorpresa finale. Altre ispirazioni del film sono state Sleuth – gli insospettabili, il film del ’72 con Lawrence Olivier e Micheal Caine, rifatto nel 2001 con Jude Law e lo stesso Caine, questa volta nel ruolo dell’anziano.
Da Sleuth infatti Knives out riprende la struttura teatrale di unità di luogo e azione, che nel caso di Sleuth si svolge nella spoglia e altolocata casa del protagonista. Lo stesso meccanismo si trova anche in Trappola mortale (in originale Death Trap), sempre con Micheal Caine e di poco seguente rispetto al primo Sleuth, che si pone però come parodia del genere, pur rispettandolo in ogni colpo di scena. Non a caso infatti anche Trappola mortale è stato di ispirazione a Knives Out, e se la vena parodica è sicuramente presente, è indubbio che sia stata calcata dalla distribuzione italiana, che ha apposto al titolo originale un’alternativa italiana, Cena con delitto, che richiama la famosa parodia del giallo deduttivo Invito a cena con delitto. Anche questo film del 1976 presentava un ricco e smagliante cast corale, che vedeva grandi nomi dell’epoca: Peter Falk, Maggie Smith, Truman Capote, Peter Sellers, David Niven, Elsa Lanchester, Alec Guinnes.
Come Invito a cena con delitto e tanti altri film gialli corali, anche Knives Out rispetta questa convenzione. Infatti, fin dall’inizio il film si presenta come un whodunit corale alla Assassinio sull’Orient Express, in cui una circostanza chiusa, in questo caso una festa di compleanno, restringe il campo dei sospettati a meno di una ventina di persona, ognuna interrogata e con un movente.
Knives Out inizia proprio così. Lo scrittore di gialli Harlan Thrombey è stato trovato suicida nella sua lussuosa villa di campagna che, citando uno dei personaggi, sembra «la casa del Cluedo». L’apparente suicidio è avvenuto la notte del suo ottantacinquesimo compleanno, quando tutti i figli e i nipoti erano riuniti in casa sua a festeggiarlo. Il detective Benoit Blanc interroga tutti i parenti, che diventano subito dei sospettati: ognuno di loro avrebbe avuto un motivo per uccidere il vecchio patriarca. Ma è qui che il film cambia e sovverte le aspettative. Dopo non più di quaranta minuti dall’inizio del film, lo spettatore sa chi è l’assassino. E da whodunit corale classico diventa quindi un film con quasi un solo personaggio, che deve allo stesso tempo nascondere il suo errore e provare la sua innocenza.
Come il precedente Looper, anche Knives Out comincia delineando un mondo estremamente conosciuto nel genere per poi distruggere ogni forma di struttura. Se in Looper infatti si combinavano i generi thriller, fantascienza e alla fine anche horror misticheggiante, qui da un semplice giallo deduttivo la struttura esplode. Dalla seconda metà infatti il film cambia: da corale diventa quasi a unico personaggio (la protagonista Marta), da giallo parodico sfiora la prospettiva intimista della lotta interiore tra ciò che è giusto e ciò che è conveniente, e infine ha una vena piuttosto preponderante di sociologia anti-Trumpiana. Infatti, Marta è un’infermiera sudamericana buona e innocente (letteralmente vomita se dice le bugie) e la sua figura è più volte contrapposta ai Thrombey che incarnano tutte le sfumature di intolleranza: dai buonisti ipocriti, ai sostenitori di Trump (mai citato, ma i riferimenti sono chiari), ai veri e propri neo-fascisti. La virata ideologica è un tocco interessante a un film che rischiava di essere il solito filmino godibile per le vacanze. È sicuramente godibile, ma appunto maschera un tema attuale sotto a una buona dose di divertimento con annessa morale finale, posta qui però in modo simpatico e beffardo.
In definitiva, un film che sorprende, forse fin eccessivamente: il troppo alle volte stroppia, anche quando è smaccatamente citazionista e parodico. I cambi di tono, i continui colpi di scena, gli spiegoni finali da parte del detective che ha capito tutto: meccanismi simpatici, ma che rendono il film leggermente sghangherato. Niente che non sia recuperabile dal cast mirabolante, che vede tutti attori famosi e carismatici. E quindi Daniel Craig è sicuramente buffo nella parte del pomposo detective Benoit Blanc (forse il cognome vuole essere un richiamo ai personaggi del Cluedo, che prendono appunto il nome da dei colori?), e poi Jamie-Lee Curtis, Chris Evans, Micheal Shannon, Christopher Plummer, Toni Collette. Tutti attoroni divertiti e divertenti, che però finiscono per avere ruoli di contorno, e anche quasi di cameo, attorno alla storia della protagonista, interpretata da una brava Ana de Armas, che abbiamo già visto in Blade Runner 2049, nella parte dell’intelligenza artificiale Joi.
Sia il titolo provvisorio (Morning Bell) che quello definitivo rimandano ai titoli di due canzoni dell’album Amnesiac dei Radiohead. Consigliato soprattutto agli amanti del genere, che si divertiranno a cogliere citazioni e a cercare di anticipare il finale a sorpresa.
Voto Autore: [usr 2,5]