Candyman, attualizzazione di un’icona del cinema horror
E’ sempre un’operazione rischiosa quella di ripescare da un decennio florido come gli anni Novanta un film iconico tanto quanto il suo protagonista. E’ accaduto con Scream, The Blair Witch Project e nel 2021 con Candyman. Il serial killer è al centro del film diretto da Bernard Rose nel 1992, un momento storico di grande sofferenza per lo slasher. Ai tempi Candyman-Terrore dietro lo specchio aiutò il genere ad uscire dal pantano in cui si era immesso volontariamente e quindi non stupisce la scelta di riportarlo in auge sotto una nuova veste. A farlo ci ha pensato Nia DaCosta sotto la supervisione di Jordan Peele (qui in veste di produttore, ma anche di co-sceneggiatore) confezionando un sequel diretto del film di Rose e quindi non tenendo conto degli altri due film della saga. DaCosta è una giovane regista al suo secondo lungometraggio, ma tanto basta per annoverarla tra gli autori da tenere d’occhio da ora in poi.
La trama di Candyman
Nia DaCosta ci riporta al Cabrini-Green, il quartiere popolare dimora di Candyman, ma in due tempi differenti. L’antefatto è ambientato nel 1977 quando la leggenda di Candyman aleggiava già per le strade, ma il nostro protagonista vive nel Cabrini-Green contemporaneo. Anthony McCoy è un pittore in crisi creativa e la fidanzata Brianna, curatrice d’arte, lo stimola con ogni mezzo. Venuto per caso a conoscenza della storia della laureanda Helen Lyle, scoprirà che dietro la sua terribile vicenda vi è un solo colpevole: Candyman. Diverrà la sua ispirazione e ossessione, tanto da cominciare a dipingere senza freni. Qualcosa di terribile, però, si è impossessato di lui, qualcosa legato indissolubilmente al suo passato.
Un fil rouge sorprendente
Il nome Anthony McCoy vi dice niente? Quando, durante la visione, capirete vi sorprenderete anche voi. Il collegamento con il Candyman del 1992 è sottile, ma funziona, eccome se funziona. Il personaggio che, ricordiamo, essere tratto da un racconto di Clive Barker, portava con sé sfumature sociopolitiche forti diventando il simbolo di un razzismo ancora dilagante negli USA e per la quale le persone di colore continuano a combattere oggi come allora. Non poteva che trovare terreno fertile proprio in questi anni il film di Nia DaCosta, poiché ancora vivi nella nostra mente i casi di presunto razzismo oltreoceano (uno su tutti George Floyd e il conseguente movimento Black Lives Matter). Ciò lo porta ad inserirsi a gamba tesa nel filone horror-sociale portato in auge proprio da Peele con i suoi film. Il Candyman rivisitato di questa giovane regista forse deficita un po’ nell’incutere terrore e paura, ma resta tremendamente attuale a livello storico e chissà se un giorno avrà il posto d’onore che gli spetta tra le fila dei grandi “mostri dell’horror”.
Al di sopra delle aspettative
Ammettiamolo. Avevamo tutti timore, anzi abbiamo tutti timore nel momento in cui un film cult viene rivisitato. Candyman di Nia DaCosta, però, non fa parte di quei film in cui il mito viene snaturato, anzi fa parte di quell’operazione di svecchiamento che a certe opere non può che far bene. Questo perché la giovane regista si dimostra consapevole e sa di avere una certa responsabilità e con fermezza dà mostra del suo talento registico, anche se manca di quei guizzi che Rose aveva saputo dare al film originale. Il cast è particolarmente azzeccato con un Yahya Abdul-Mateen II che spicca decisamente su tutti per l’anima con il quale ha interpretato Anthony McCoy. E poi, per gli affezionati, vedere Tony Todd riprendere il ruolo storico di Candyman non può che far piacere, un enorme piacere. E’ un film da rivalutare assolutamente e ingiustamente passato in sordina. I cinefili più affezionati allo splatter del capitolo originale storceranno il naso, ma il film di DaCosta è nato con cognizione di causa ed è figlio del nostro tempo più di molti altri. Non poteva che essere così.