Bussano alla porta, e se il mondo stesse per finire?
Ed è subito “colpo di scena alla M. Night Shyamalan“? Non esattamente. Bussano alla porta, ultimo film del regista indiano (naturalizzato statunitense), non è da considerarsi riconoscibile per il plot twist che stravolge la trama, come buona parte della sua filmografia ci ha abituato. Tuttavia, bisogna ammettere che il pubblico si avvicina ai film di Shyamalan per lasciarsi sorprendere, ancora una volta e mai come le precedenti. In Bussano alla porta si parla addirittura di Apocalisse, di una fine del mondo imminente e di scelte del singolo che possono influenzare l’intero destino dell’umanità. E’ il cinema di genere che, ancora una volta, si mette al servizio dell’attualità. Ma andiamo con ordine. Il film, presentato in anteprima al cinema Troisi di Roma, è l’adattamento cinematografico del romanzo del 2018 La casa alla fine del mondo di Paul G. Tremblay. Il cast di Bussano alla porta comprende Dave Bautista (Guardiani della Galassia), Jonathan Groff (Mindhunter), Ben Aldridge (Fleabag), Rupert Grint (il Ron della saga di Harry Potter) e la piccola Kristen Cui alla sua prima apparizione sul grande schermo. Immancabile inoltre, se si presta attenzione, il cameo del regista.
La trama di Bussano alla porta
La piccola Wen, 8 anni, sta giocando nel bosco che circonda la casa affittata dalla sua famiglia. Accovacciata fra l’erba, sta prendendo dei grilli per osservarli meglio, perché da grande vorrebbe curare gli animali. Improvvisamente, tra gli alberi, appare un uomo che le si avvicina. Si chiama Leonard e con modi gentili cerca di fare amicizia con lei. Subito dopo, intima a Wen di avvisare i genitori che tra poco a lui si uniranno altre tre persone. Leonard, Adriane, Redmond e Sabrina irrompono in casa. Il loro scopo è spiegare a papà Eric e papà Andrew, genitori adottivi della piccola, che dovranno prendere un’importante decisione che cambierà le sorti dell’umanità.
Riflessioni sull’altruismo e l’egoismo dell’uomo
Le vicende che coinvolgono la famiglia protagonista di Bussano alla porta inducono a riflettere sulla coesistenza dell’egoismo e dell’altruismo nell’uomo. Nel film, la decisione che Eric, Andrew e Wen sono costretti a prendere non salverà una sola persona, ma l’intera umanità. Non è da biasimare l’atteggiamento di papà Andrew, più razionale e scettico del compagno, quando i quattro personaggi irrompono in casa affermando con convinzione che un membro della loro famiglia dovrà essere sacrificato per evitare la fine del mondo. Crede siano dei pazzi affiliati a qualche setta o gruppo religioso e non crede alle loro parole, giustificando le terribili catastrofi che al contempo stanno avvenendo sulla Terra come pure coincidenze. Andrew si dà anche un’altra spiegazione a ciò che sta avvenendo nella loro casa, ovvero l’omofobia. Crede che Leonard e i suoi amici siano lì per punire lui e Eric in quanto coppia omosessuale e questo lo fa infuriare ancora di più. Non sembra essere dello stesso parere Eric, nella cui mente pian piano si apre la possibilità che per tutto quello che sta accadendo, dentro e fuori la loro casa, c’è un motivo che va oltre la loro immediata comprensione.
I due uomini quindi, si ritrovano a dover fare una scelta. E quanto una scelta può pesare sul nostro destino e su quello dell’umanità? Shyamalan dà una risposta a questa domanda, non lascia niente di insoluto. Il regista ha voluto mettere un po’ tutti noi spettatori con le spalle al muro, perché è logico porsi questa domanda: noi al loro posto cosa avremmo fatto? Come avremmo agito?
Una sceneggiatura “biblica”
Alla fine della storia narrata in Bussano alla porta avviene la fatidica Scelta. Shyamalan, non senza una buona dose di furbizia, alterna nella sceneggiatura il presente della coppia ai momenti più salienti del loro passato insieme. Ciò comporta non solo conoscerli in modo più approfondito, comprendendo le reazioni diverse di entrambi di fronte ai quattro intrusi, ma così fa in modo di innescare un’immedesimazione emotiva nello spettatore, continuamente chiamato ad essere attivo. Il finale tocca l’apice di una sceneggiatura costruita su più livelli, narrativi e allegorici. Tra fine del mondo, Cavalieri dell’Apocalisse, sacrificio e scelta, non si può dire che Shyamalan non abbia pensato in grande, come ha dimostrato altre volte. Già in Signs, uno dei suoi film più famosi, utilizzò il cinema di genere per indagare le paure del presente (ricordiamo che il film uscì un anno dopo l’11 settembre). Con Bussano alla porta lo scopo è lo stesso. Tutte le catastrofi a cui assistono Eric e Andrew tramite la tv non sono poi così lontane da quelle reali che affollano i nostri telegiornali. C’è persino una pandemia scoppiata all’improvviso con focolai sparsi nel mondo e la mente corre subito al COVID-19 che ha cambiato per sempre le nostre vite. I protagonisti non sono chiamati soltanto al sacrificio, ma a credere compiendo un atto di fede per un bene superiore.
Shyamalan è tornato?
M.Night Shyamalan, nel corso degli anni si è dimostrato un regista incostante. Ancora oggi alcuni suoi film sono considerati cult, altri invece pubblico e critica hanno preferito dimenticarli. Con The Visit, Split, Glass e Old sembrava essersi ritrovato e Bussano alla porta, tutto sommato, conferma questa tendenza. Parlavamo di riconoscibilità all’inizio, ebbene, come non rinnovare l’apprezzamento per la padronanza e consapevolezza che Shyamalan dimostra nel piazzare la macchina da presa sempre nel posto giusto? Proprio le inquadrature scelte, come i dettagli e i primi piani, aiutano nel costruire la tensione, rifuggendo dalle soluzioni semplici. Bussano alla porta era un film molto atteso. Non si può certo dire che sia un ritorno in forma smagliante del regista, apprezzato senza alcuna remora all’inizio degli anni 2000. Tuttavia, si può dire che sembra aver ritrovato definitivamente la sua autorialità e speriamo che non la perda nuovamente per strada.