Broken Flowers è una commedia drammatica del 2005, scritta e diretta da Jim Jarmusch, con protagonista Bill Murray.
Vincitore del premio della giuria al festival di Cannes, si discosta dagli ultimi lavori del regista, come ad esempio I morti non muoiono o Solo gli amanti sopravvivono.
Un’atmosfera eterea, sempre presente nel film, caratterizza non solo la storia ma anche il personaggio principale: indimenticabile il protagonista, dagli sguardi, al modo di parlare, dai gesti ai silenzi.
Broken flowers: la trama
Don Johnston, interpretato da Bill Murray, è un don Giovanni cinquantenne che sta attraversando la crisi di mezza età- quasi ci ricorda un altro personaggio interpretato dallo stesso attore, Bob Harris di Lost in Translation (2003)- la cui esistenza viene ulteriormente messa in crisi da una misteriosa lettera anonima.
La lettera, di colore rosa, inviata da una sconosciuta ex amante rivela a Don di avere un figlio, già diciannovenne, in cerca delle tracce del padre.
Comincia quindi un’odissea nel passato di Don, convinto ad intraprendere questo viaggio da un irresistibile personaggio secondario, ovvero il vicino di casa Winston, appassionato di gialli.
Dopo aver incontrato le donne frequentate vent’anni prima, sono quattro- tra di loro spicca certamente Laura, interpretata da Sharon Stone– Don torna a casa senza aver potuto comprendere chi sia effettivamente la madre del suo presunto figlio.
Giunto al punto di partenza trova un’altra lettera anonima rosa che gli fa pensare che forse non ci sia in realtà alcun figlio, idea che in qualche modo lo intristisce.
Il protagonista incontra poi un ragazzo e si convince che questo sia suo figlio, ma, nel momento in cui rivela di poterne essere il padre, il ragazzo gli dà del pazzo e fugge.
A quel punto per strada passa un’auto su cui siede un giovane che sta ascoltando la stessa canzone che Don ha ascoltato durante tutto il suo viaggio. Termina così il film: un finale aperto, che dà ampio spazio a considerazioni personali e, soprattutto, uno sguardo assolutamente indimenticabile, leggermente sotto la camera, profondamente umano nella sua tragicomica malinconia.
Broken Flowers: la recensione
Il film di Jim Jarmusch non è certamente un film veloce. Non scorre al ritmo dei brani jazz etiopi di Mulatu Astatke, che sentiamo durante tutta la pellicola, tra l’altro spesso azionati dallo stesso protagonista, ma è uno scorrere lento e riflessivo. Il protagonista ripercorre a ritroso momenti della sua vita che aveva quasi dimenticato e ciò lo porta ad amare considerazioni, proprio per questo motivo la pellicola è caratterizzata da un’atmosfera triste, spezzata da momenti comici, soprattutto grazie alla presenza di personaggi particolari come il vicino o le donne incontrate. Jarmusch mostra un viaggio che nulla ha a che vedere con un’indagine noir, pur essendolo nei fatti narrati.
Cercarsi nello scorrere lento del tempo
Il regista accompagna il personaggio, e lo spettatore lo segue, pedinandolo da dietro, ma non vi è mai tensione perché sembra quasi che il mistero, se esistente, non necessiti di essere svelato. In Broken Flowers non è tanto la parola quanto la gestualità ed i dettagli, curati al massimo, a raccontare una storia, composta non da fatti ma soprattutto da stati d’animo.
La luce, tenue e talvolta quasi surreale, la musica presente in maniera incisiva, l’eleganza di Murray, sono gli elementi vincenti di questo film.
Il personaggio appare nel finale molto diverso rispetto all’inizio, pur non essendoci cambiamenti comportamentali: non c’è una crescita ma solo una presa di coscienza.
Forse, per questa ragione, si crea una certa empatia tra lo spettatore e il personaggio.
L’interpretazione di Murray è magistrale, perfetta, fondata soprattutto su sguardi e movimenti.
Riusciamo a comprendere, senza che mai venga detto che, dopo un’analisi degli “avrebbe potuto essere”, è sempre e solo una certa malinconia a trionfare.
Anche il nome del protagonista, Don Johnston, disegna già il suo ineluttabile destino: come per Don Giovanni, probabilmente non vi è pentimento ma è certo che dalle fiamme dell’inferno (metafora dell’infelicità o meglio della non felicità nella pellicola di Jarmusch) non si può scappare.
Fiori rotti in un road movie in miniatura
Con “Broken Flowers” si potrebbe letteralmente tradurre “fiori rotti, spezzati”: metafora di quella non felicità appena citata.
Infelicità che sembra essere presente non solo in Don ma anche nelle sue “old flames”, vecchie fiamme ormai spente: emblematica Tilda Swinton, Penny, qui in un’interpretazione che si discosta di molto da altre, comprese le collaborazioni con lo stesso Jarmusch.
Broken Flowers, il cui inizio sembra quasi una parodia hitchcockiana, non pretende di sembrare quello che non è: è una commedia drammatica che ci ricorda di cosa siamo fatti, ovvero anche di errori, di cui però non è sempre necessario essere pentiti.
È anche una sorta di breve road movie, quasi al rovescio: vediamo molto spesso la macchina del protagonista dal retro, con uno sguardo attento sugli specchietti retrovisori, metafora del ritorno al passato.
Non guardiamo Don in viso mentre guida, lo vediamo invece osservare il mondo di spalle.
In fondo per tutta la sua vita è stato un personaggio passivo, “ha fatto i soldi con i computer”, elemento simbolo dell’avanzare dei tempi ed al contempo della robotizzazione della vita.
L’America che Jarmusch mostra, a tappe, è essenziale, priva di ogni ornamento, ridotta ai minimi termini: strade, case.
Non ci sono grandi metropoli dove trovarsi, né- come in Paterson– il personaggio riesce a trovarsi in una ricerca dell’interiorità.
È un mondo in miniatura, in cui si riesce a vedere, come se ci fosse un proiettore, la propria vita, ma essendo questa un nastro su cui sono già state impresse delle immagini, nulla può essere cambiato.
Un film sincero, con un protagonista perfetto, musiche di vario genere coinvolgenti ed immagini curate, colori tenui ed atmosfere stranamente poetiche.