“Avventure di un uomo invisibile” è un film del 1992, diretto da John Carpenter. Tratto da un romanzo di H.F. Saint intitolato “Ricordi di un uomo invisibile“. I protagonisti sono Chevy Chase, Daryl Hannah e Sam Neill, attori che all’epoca godono di un buon successo commerciale. Il film segna il ritorno del regista dietro la macchina da presa dopo quattro anni di assenza.
Avventure di un uomo invisibile, la trama
Un agente di cambio di nome Nick Halloway, diventa invisibile, dopo un incidente molecolanucleare avvenuto durante una conferenza. Da subito oggetto di interesse da parte della Cia, Nick decide di fuggire tra un misto di spavento e timore, tra le vie della città di San Francisco. Il suo nuovo potere lo porta ad interfacciarsi con una realtà diversa, modificando le sue passate abitudini e adattandosi al nuovo stile di vita.
Avventure di un uomo invisibile, recensione
John Carpenter ha fatto della fantascienza e dell’horror un marchio di fabbrica talmente grande, a tal punto da crearsi un immaginario pop culturale, capace di infondersi nella cultura di massa. Le sue pellicole sono considerate dei veri e proprio cult cinematografici, tra queste si ricordano “1997: Fuga da New York“, “La cosa” “Grosso guaio a Chinatown“…
Nel 1992 torna sul grande schermo con questo titolo considerato minore, rispetto alla sua vasta filmografia. L’opera non rientra tra i classici del genere ma sicuramente presenta dei lati molto interessanti, che ne fanno una piccola perla da riscoprire.
Il tema dell’invisibilità è particolarmente amato e un ottimo spunto per dare vita a una trama coinvolgente, in grado di incuriosire un eventuale pubblico. Sono state fatte una serie di trasposizioni, sin dai primi anni quaranta fino ai giorni nostri. Nella storia del cinema, in molti hanno perciò toccato l’argomento, in quanto un mezzo efficace per spianare la strada sul dibattito di infinite tematiche, che si vuole approfondire.
L’invisibilità carpenteriana
Un primo punto da evidenziare sono da prima gli effetti speciali, che si rivelano ben funzionanti, a prescindere dalla data di uscita. La tecnica registica di Carpenter è sempre all’altezza. Qualsiasi pellicola diriga, nelle opere dell’autore, traspare sempre una grande accuratezza, nonostante i budget alti e bassi con cui vengono prodotti i suoi lavori. In questo preciso caso, vedere la strategia messa in atto per rappresentare l’invisibilità, fa sorridere e rivela la creatività del reparto di post produzione nell’ingegnarsi nell’intento.
Un fattore quindi promosso, che per forza di cose, sarebbe dovuto uscire bene, in quanto è l’elemento portante su cui si regge l’intera pellicola e ciò che mantiene incollati allo schermo. La trama si presta inoltre a evidenziare questo lato, facendo ruotare tutto il prodotto artistico sulla base del potere del protagonista, che si trova a doversi scontrare con la nuova quotidianità. A livello di sceneggiatura si riscontrano quindi soluzioni davvero interessanti e piacevoli da vedere.
Uno stratagemma abbastanza furbo, con il quale si è mostrato questa inedità facoltà, è che per buona parte del film, lo spettatore è in grado di vedere in carne ed ossa il protagonista, mentre i personaggi della storia no. Un’idea geniale che aumenta il rapporto di simbiosi tra il suo interprete e il pubblico, il quale conoscendo le sue mosse, può empatizzare maggiormente con esso. L’idea adottata rende quindi forza e struttura alla storia.
La critica sociale e politica
Carpenter è un autore particolarmente bravo a far combaciare due aspetti. L’intrattenimento con la critica sociale. Ogni suo film non viene lasciato al caso, e anche di fronte all’azione più pura, si rivela esserci un messaggio di fondo forte e potente.
Nel particolare episodio, il potere dell’invisibilità attira subito l’interesse della Cia americana, che vuole approffittare del protagonista per servirsi di un potere sempre maggiore. L’obiettivo ossessivo di controllare le sorti del mondo, anche nei modi più inusuali e non propriamente legali, sembrerebbe una prerogativa che contraddistingue da sempre gli Stati Uniti d’America.
Il regista critica aspramente la voglia incontrastata di dominio imperialista, che caratterizza il paese nel quale è cresciuto ed è perciò possibile trovare un riferimento tra l’opera e le mire espansionistiche della politica estera americana.
Nel finale il protagonista capisce che è meglio darsi per morto e scomparire davvero, rispetto che divenire una pedina in mano agli interessi dello Stato. Chiaramente un forte punto di vista dell’autore, in merito a quello che accade intorno a lui.
Conclusione
La sceneggiatura funziona correttamente. Il motivo è la buona costruzione di fondo, di una storia che comunque si presta bene già di partenza, rendendosi attrattiva. L’opera non racconta la storia di un supereroe, qui la componente eroica viene del tutto esclusa a favore di una dimensione molto più drammatica, seppur con qualche guizzo divertente. Le interpretazioni funzionano bene, all’epoca attori molto ricercati nel panorama cinematografico. Ogni reparto tecnico, dalla fotografia ai costumi, svolge al meglio il suo lavoro. Un film interessante, con un buon ritmo che sostiene l’andamento della vicenda.