Autopsy, la chiave è la semplicità
Basta fare qualche ricerca e scoprirete che il 2016 è stato un bellissimo e prolifico anno per il genere horror. Troviamo The VVitch di Robert Eggers, The Neon Demon di Nicolas Winding Refn, Man in the Dark di Fede Alvarez e tanti altri titoli ancora oggi citati per un motivo o per un altro. C’è però, tra questi, un titolo che merita un po’ d’attenzione in più rispetto a quella già ricevuta ed è Autopsy (in originale The Autopsy of Jane Doe) di André Øvredal. I precedenti registi (e film) hanno avuto una carriera decisamente più intensa e un passaparola per le loro creature cinematografiche che ha fatto sì che si diffondessero a macchia d’olio. Il regista e sceneggiatore norvegese, dopo Autopsy, ha fatto poco e forse anche questo è causa del dimenticatoio dentro il quale il film è caduto. E’ giunto però il momento di rivalutarlo e dargli lo spazio che merita. Autopsy è un film horror molto semplice, molto “piccolo”, ed è proprio questo il suo più grande vantaggio, la marcia in più che sei anni fa lo distinse da tutti gli altri. Vediamo nel dettaglio ciò di cui stiamo parlando.
La trama di Autopsy
Il film inizia in medias res con un omicidio avvenuto in una casa. Delle persone sono state massacrate, ma non vi è nessuna traccia e nessun indizio su come ciò sia avvenuto. La polizia, durante le ricerche, trova il corpo intatto di una giovane donna sepolto sotto strati e strati di terra. Affida il corpo al medico legale, il dottor Tommy Tilden, per far luce su questo mistero. Insieme al dottore collabora anche suo figlio, Austin Tilden. Lo sceriffo vuole delle risposte entro la mattina seguente e così i due sono costretti a compiere un’autopsia nel bel mezzo della notte. E’ chiaro che qualcosa non va, ma Austin e il padre non si lasciano scoraggiare. Non sanno a cosa andranno incontro, una forza inimmaginabile.
Un film “piccolo” e semplice
Accennavamo prima al fatto che Autopsy sia un film “piccolo” e semplice. Cosa intendiamo? E’ presto detto. Raramente ormai negli horror moderni la semplicità è un valore a cui si presta attenzione. Per semplicità s’intende non solo di trama, ma anche la messa in scena e atmosfera che si viene a creare. André Øvredal è molto minimale in questo, vuole che il suo film sia spogliato di qualsiasi orpello decorativo, così che resti la sensazione nuda e cruda di paura e claustrofobia che un obitorio (già di per sé un luogo poco accogliente) riesce a dare. Il film è interamente girato nei sotterranei di casa Tilden dove si trova l’obitorio. Tra i corridoi, i cunicoli e l’inquietudine che trasmette quel luogo in cui riposano i morti in attesa di sepoltura, due uomini stanno svolgendo il proprio lavoro, inconsapevoli che indagare sul mistero di Jane Doe (così vengono chiamati in America i corpi non identificati) porterà ad una verità sconvolgente e a un punto di non ritorno. La qualità registica di Øvredal è alta, sa destreggiarsi perfettamente e con grande fluidità in questi spazi angusti, prediligendo sì i dettagli truculenti del corpo di Jane Doe, ma anche e soprattutto quelli che si riveleranno funzionali in un secondo momento.
Cura e attenzione, anche nelle piccole cose
All’apparenza Jane Doe è una donna semplicemente vittima di un omicidio, ma non si sa come né perché ciò è accaduto. Ogni tassello di verità aggiunto ci trasporta verso un plot twist forte tanto quanto lo è la ricostruzione magistrale della prima parte del film. Sono pochissimi i personaggi, ma ognuno di essi gestito nel migliore dei modi sin dall’inizio. In particolare, i protagonisti hanno uno spessore psicologico non indifferente, soprattutto il padre. L’essere rimasto vedovo da relativamente poco ha segnato la sua vita. Questo elemento, paradossalmente, suggerisce al figlio di non lasciarlo da solo ad affrontare quello che si prospetta un caso difficile. Brian Cox e Emile Hirsch sono praticamente perfetti, i giusti attori per i rispettivi ruoli. Autopsy è breve, ma non lascia scampo né un attimo di respiro. Fa desiderare che duri più a lungo, perché ci siamo già affezionati al dottor Tilden e a suo figlio.
Una storia che ha radici lontane
Un aspetto importante e da non sottovalutare che rende Autopsy un film tra i più riusciti degli ultimi anni è la scelta di dare alla storia radici “lontane”, in un periodo storico in cui la paura, la paranoia e il pregiudizio erano all’ordine del giorno. Impossibile dire di più, poiché si incappa facilmente in spoiler, ma la forza evocativa della storia che è poi il motivo dietro la morte di Jane Doe è sorprendente. Inoltre, è un film che tratta il suddetto argomento in modo diverso e particolare rispetto ai precedenti e quindi è un ulteriore valore aggiunto all’opera del regista norvegese che speriamo di vedere presto sul grande schermo. Ha inventiva, creatività e qualità registica, tutte le carte che servono per emergere ancora una volta. Recuperate Autopsy, disponibile su Amazon Prime Video, non ve ne pentirete.