“Ho sempre sospettato che non mi piacessero le cose per cui tutti vanno pazzi. Donne, automobili, case, film, gruppi musicali. Tutte cose sulle quali le persone basano la loro filosofia di vita. Non mi è mai servita una filosofia di vita. Sono quelli che desiderano le cose, che si sentono in colpa per averne alcune, o frustrati per non averne altre, che ne hanno bisogno. A me bastava ubriacarmi, o bere tanto anche senza ubriacarmi”. Se queste parole ti sembrano quelle di un tipo sufficientemente interessante, l’Arkansas è una destinazione cinematografica che non ti deluderà.
Clark Duke e Liam Hemsworth si inerpicano sull’appiccicosa e ripida scala del crimine del Sud, trafficando droga in abiti maschili meravigliosamente vintage. “Arkansas” è un thriller dall’atmosfera cupa, che accondiscendente si lascia colorare solo nelle vesti dei suoi eccentrici personaggi, rivelando, con lo scorrere dei minuti, la sua inattesa anima ironica.
Sembra prendersi dannatamente sul serio Clark Duke (Greek, The Office, Kick-Ass) alla sua prima volta dietro la macchina da presa. Meglio conosciuto come affiliato periferico di quella nutrita compagine di attori destinati a ruoli buffi e marginali, Clark Duke decide di dimettersi dal clan dei sobborghi della notorietà per realizzare una storia in cui si colloca impazientemente al centro. E come si poteva immaginare, il suo talento, sottratto alle mansioni che lo star system ama assegnargli, sembra molto più solido. “Arkansas” gode di molti accorgimenti narrativi facilmente accessibili, eppure il divertissement dovuto al suo genuino umorismo nero saprà risarcire il danno di mancata originalità.
Kyle (Liam Hemsworth) è uno spacciatore. Il gradino più basso di una piramide criminale di cui il nostro estimatore di alcol e sregolatezze, improbabilmente bello e inverosimilmente curato, non ha mai intravisto la cima. Di quella sommità conosce solo il nome. A capo di tutto quel disordinato crimine organizzato c’è qualcuno che si fa chiamare Frog. Ma che questo leggendario violento leder esista davvero è tutto da provare. La caotica centrifuga delinquenziale procede così vorticosamente senza una destinazione che Kyle finisce per imbattersi in Swin (Clarke Duke), un truffatore dall’aria ingiustificatamente confidenziale, e un guardaroba esotico che prende letteralmente a cazzotti il roccioso e scorbutico Arkansas. Vi sarà impossibile non accorgervi della sua inattendibile aria da criminale. Strambi baffetti e fantasiose camicie che metterebbero invidia alle popolazioni native di Honolulu: un trafficante di droga così improbabile che nemmeno Kyle vorrebbe fidarsi.
Malgrado ciò dopo qualche intima conversazione, talmente assurda da richiamare alla mente quelle di Vince e Jules in Pulp Fiction, eccoli uniti in una partnership indissolubile. Durante un losco trasporto fuori dal confine di stato vengono fermati dal ranger Bright (un sempre sublime John Malkovich). Anche Bright è sul vasto libro paga di Frog e ha per i due banditi juniors una nuova missione sotto copertura. Poche e semplici le regole da seguire: obbedire e non fraternizzare con la popolazione locale. Come avrete già capito il colorato anticonformista Swin non vede l’ora di “familiarizzare”, in particolar modo con Johanna (Eden Brolin). Lei lo trova inquietante, lui però è deliziosamente divertente. Clarke Duke priverà forse il suo personaggio dell’idillio di un amore?
Se vi sembra che la storia stia prendendo una prevedibile e romantica brutta piega ecco entrare in scena il boss. Frog (Vince Vaughn), da sempre nascosto sotto gli occhi di tutti, si compiace di poter manipolare Kyle e Swin a suo piacimento. Attraverso una tarantiniana suddivisione in avvincenti capitoli ci viene offerta su un piatto d’argento la storia della sua ascesa criminale. Frog ha un’energia delinquenziale davvero attraente e Vince Vaughn di vintage vestito ci regala una performance irresistibile.
In “Arkansas” non si lesina in violenze e ci si congratula con chi “non si illude di poter vivere a lungo”. Se qualcosa va storto è altamente consigliato continuare a svolgere il proprio compito senza farsi prendere dal panico, ed è bene dimostrarsi pronti a seppellire l’imprevisto almeno due metri sotto terra. Dove ci porterà tutto questo? Se la coerenza narrativa per voi è tutto “Arkansas” non fa per voi. Se al contrario credete nella sensualità del caso lasciatevi condurre da Duke. Il suo procedere senza predefinire la meta è la sua vera forza.
“Arkansas” è abitato da personaggi che non hanno alcuna fretta e che non vanno da nessuna parte. Ciò che sembra davvero rilevante è che queste vite squilibrate, eccessive, sconnesse, non riescano a sfuggire ai loro stessi limiti, né a muso duro né a suon di sarcasmo. La vera nota dissonante è la rincorsa ad un finale forzatamente coerente: ricercare un’irrevocabile conclusione a ciò che fino a quel momento si era mantenuto in perfetto disequilibrio probabilmente non sarebbe stato necessario.
Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2008 di John Brandon, “Arkansas” sarebbe stato presentato in anteprima mondiale al Festival South by Southwest a marzo 2020 se la pandemia globale non si fosse abbattuta su di noi. Il film è stato così distribuito direct to video e on demand (disponibile ora su Amazon Prime Video).
Clark Duke dimostra di avere estro ed eleganza cinematografica aprendo il suo debutto alla regia con una citazione di Charles Portis (il Mark Twain del XX secolo). Sua la penna che scrisse nel 1968 “True Grit”. Il romanzo è stato adattato al grande schermo due volte: la prima valse l’Oscar a John Wayne (stiamo parlando ovviamente de “Il Grinta” di Henry Hathaway), la seconda è la versione dei fratelli Coen con Jeff Bridges.
“Molte persone lasciano l’Arkansas, e la maggior parte di loro torna prima o poi. Non riescono a raggiungere la velocità di fuga”. Citazione perfetta per ciò che Duke intende raccontarci, tanto che sorprende scoprire che non saranno le atmosfere western a propagarsi sullo schermo. Sono invece gli sguardi da personaggio dei Coen e i dialoghi degli uomini di Tarantino a susseguirsi sullo schermo, con tanto di feticista primo piano a piedi nudi in bella vista (!).
Duke non ha paura alcuna di palesare le sue ispirazioni, e sebbene le sue radici narrative non possano dimostrarsi particolarmente originali sapranno divertire e portarci esattamente dove si voleva, ovvero al punto di partenza. A quei personaggi a cui manca “la velocità di fuga”. Intrappolati nella vita che hanno scelto, negli stereotipi narrativi scelti da chi li ha scritti, racchiusi nel recinto che hanno inavvertitamente chiuso dietro di loro.
“Arkansas” non è film perfetto. Ha in sé frammenti che non sanno adoperarsi correttamente per il funzionamento generale della narrazione. Eppure potrebbe ben intrattenere chi saprà scusarne, e magari apprezzarne, eccentricità e difetti.