Appunti di un venditore di donne: un “bravo” ragazzo nella fumosa Milano da bere degli anni ’70. Anni di piombo, ombre di violenza e luci al neon in un film che ha tutto il sapore del noir italiano che non si ha più il coraggio di realizzare.
Ci vuole fegato per immergersi nuovamente negli anni ’70. Anni che hanno mentito, nascosto, ucciso e stravolto un’Italia che non è più tornata la stessa. Serve sangue freddo per realizzare un film come “Appunti di un venditore di donne”. Un noir autentico, notturno, abitato da disobbedienti, tenuto in ostaggio dagli inganni istituzionali e violentato dalle cospirazioni. Di audacia ne serve ancora di più se si pensa che questo film è tratto da un romanzo scritto da Giorgio Faletti. Uno dei suoi romanzi più spinosi e contorti, dove imprevedibili vicende ingabbiano personaggi meravigliosamente fumettistici. Realizzare un adattamento che si propone di restare fedele il più possibile a quelle pagine tortuose, senza scadere in una banale operazione nostalgia per il bel poliziesco dei tempi andati, schivando abilmente la comune tentazione di foderare una storia di genere con un posticcio filtro post-moderno, è un’impresa da applausi.
Il regista milanese Fabio Resinaro, dopo “Dolceroma” e “Mine” (girato col collega Fabio Guaglione), persegue la sua idea di cinema con lodevole determinazione. Il risultato è un film che sembra essere stato realizzato proprio in quel decennio seventies oscuro e fumoso. Un decennio cinematografico dal quale l’opera di Resinaro eredita non solo i pregi ma anche qualche ingombrante difetto.
Tratto dal celebre romanzo di Giorgio Faletti, e disponibile in esclusiva su NOW TV e su Sky a partire da venerdì 25 giugno, “Appunti di un venditore di donne” adottando un linguaggio filmico pienamente coerente alla prospettiva d’epoca ripristina l’atmosfera aspra di violenza e cospirazione degli ultimi decenni del secolo scorso in Italia.
Appunti di un venditore di donne: un noir autentico
Milano, 1978. È l’anno del sequestro Moro. L’anno di Vallanzasca. È quel 1978 in cui a Milano, quando scende la sera, nemmeno la nebbia può smorzare le luci al neon dei club. È l’anno in cui con una sigaretta tra le labbra e un drink serrato nella mano destra si tentava di mettere a tacere la paura, sperando di restare a galla, mentre il paese sprofondava nel caos. Bravo (Mario Sgueglia – “Suburra-la serie”, “Summertime”) è un protettore di prostitute. Ha un giro d’affari di tutto rispetto costruito sulla sfrontata presunzione che sia possibile ottenere tutto senza necessariamente vendere l’anima al diavolo.
Quella Milano è imbrattata di troppa volgarità e violenza per Bravo, lui che ama pensarsi come un anomalo imprenditore che regala tempo e opportunità a uomini facoltosi. Lui, un po’ Keanu Reeves, un po’ bandito gentiluomo, muove frettolosamente le sue mani, destreggiandosi tra gli innumerevoli pacchetti di sigarette, i bicchieri afferrati al bancone di un locale notturno, il volante dell’auto, in quella Milano in cui è sempre notte, in cui il giorno sembra non arrivare mai.
Accanto a lui, nei night club, nelle bische clandestine, c’è spesso l’amico Daytona (Paolo Rossi): un uomo la cui miserabilità pare quasi mistica, che fatica spesso a reggersi in piedi, che barcolla predicando massime di vita con voce impastata. Un uomo sconcio, a tratti repellente, che non si riesce però mai a detestare fino in fondo. Perché il male, quello assoluto, in questa buia storia, lo incontreremo facendo la conoscenza del poliziotto corrotto (Libero De Rienzo), del mafioso schifosamente avido (Antonio Gerardi), e del politico che muove i fili di un turpe gioco (Michele Placido). Uomini che tenteranno tutti di seppellire Bravo in quella fossa criminale in cui credeva di poter essere risparmiato.
Quando incontrerà Carla (Miriam Dalmazio), giovane donna disposta a prostituirsi pur di scrollarsi di dosso grigiore e miseria, Bravo inizierà a sognare una vita diversa. Ma durante il primo incarico della donna, Bravo rimane incastrato in una macchinazione per farlo accusare dell’omicidio di un senatore. Qualcuno sembrerebbe intenzionato persino ad accusarlo del sequestro Moro. Ricercato dalla polizia, tradito dalle istituzioni, incastrato dai terroristi, Bravo dovrà ricorrere a tutta la sua fredda capacità di analisi per salvarsi e comprendere l’oscuro complotto organizzato ai suoi danni.
Una Milano notturna abitata dai personaggi dell’hard boiled classico
“Appunti di un venditore di donne” è intriso di una miseria disperata. Tutti i personaggi che emergono dalla fumosa oscurità di quella Milano notturna rispondono fedelmente agli stilemi dell’hard boiled classico, riletti secondo le caratteristiche singolari del noir italiano anni ’70. Incrociamo il saggio musicista cieco (Francesco Montanari – il Libanese della serie Romanzo criminale), il politico, il malavitoso, il giocatore d’azzardo senza speranza. Un’umanità abbarbicata così saldamente al tessuto narrativo dell’epoca che nessun noir può permettersi di non accoglierla tra le sue fila.
Il film di Resinaro sembra derivare direttamente dalla grammatica cinematografica degli anni in cui è ambientato. Il risultato appare ancor più convincente perché ottenuto senza forzature di replica del genere poliziesco di cui il cinema nostrano ha conosciuto un fortunato periodo. Gli effetti digitali impiegati per modificare il set sono stati sapientemente nascosti: non saltano all’occhio evidenti stonature di post-produzione o insipidi omaggi al cinema criminale del passato. Le inquadrature e il montaggio regalano fascino e ritmo ad una trama intricata, difficile da comprimere nei tempi filmici.
Resinaro e l’omaggio ai temi del cinema politico italiano
Resinaro restituisce un’interessante riflessione sul labile e frequentato confine tra legalità e illegalità offrendo spunti visivi di grande attrattiva. Rievocando temi molto cari alla tradizione del cinema politico italiano, rintracciabili nei più grandi capolavori del genere come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Cadaveri eccellenti, “Appunti di un venditore di donne” sa unire al gusto di un buon racconto la memoria di una storia recente complessa, messa a tacere e dissimulata.
“Appunti di un venditore di donne” è un film immerso nell’atmosfera che intende rievocare, così intriso di peccati anni ’70 da racchiuderne anche tutti i caratteristici limiti narrativi. A risentirne sono soprattutto i dialoghi, troppo spesso deboli e inefficaci. Gli attori scelti, da Sgueglia nei panni di Bravo, alla Dalmazio nel ruolo della conturbante Carla, fino a Paolo Rossi nelle vesti del barcollante Daytona, sono esteticamente perfetti. I loro volti sembrano quelli disegnati in fumetto dell’epoca. Ma le parole scritte per loro, posticce, artificiali, poco credibili, entrano in brusco conflitto con la riuscitissima ricostruzione scenica. La plausibilità dell’intera narrazione è messa a dura prova anche dalla trama stessa. I retroscena che richiedono di essere svelati sono così numerosi e corposi da imporre un ritmo serratissimo, rischiando di risultare troppo caotico.
“Appunti di un venditore di donne” non è forse un film pienamente riuscito, ma vanta il grande pregio di essere un’opera esteticamente ricca, capace di rievocare con fascino e autenticità la Milano di piombo. Se non fosse per quella parlata sin troppo pulita per passare inosservata in un mondo tanto sporco, avremmo potuto credere di essere di nuovo lì, negli anni ’70, ai margini di un sistema taciuto, corrotto e violento, impotenti mentre qualcosa di irreparabile stava per accadere al nostro paese, trasformandolo per sempre.