Presentato all’ultima Berlinale, “Another End” è diretto da Piero Messina e racconta di un futuro distopico diviso tra memoria e perdita. Anche quì c’è il concetto di “innesto” a cui ci hanno abituati i vari “Matrix” e “Inception”, “Se mi lasci ti cancello”, seppur in maniera decisamente più ambiziosa. Nell’interpretazione dei temi esistenziali rappresentati, vi è la profonda riflessione di questa narrazione cinematografica.
La stessa regia di Piero Messina va ad indagare la chiave nascosta dei ricordi dove si muove la loro manipolazione in questa realtà apparentemente simulata, tra il presente e il suo passato. Il racconto è quello dell’impossibilità dell’essere umano di rassegnarsi alla perdita di chi si ama, e la domanda appunto è se l’amore può vincere sulla morte.
Another End: cast, trama e recensione
Gael García Bernal interpreta Sal, il protagonista che cade in depressione dopo la morte della moglie Zoe. Renate Reinsve interpreta Zoe-Ava, la moglie defunta di Sal che viene temporaneamente riportata “in vita” attraverso il corpo della locatrice Ava. Bérénice Bejo interpreta Ebe, la sorella di Sal che lavora per l’azienda Aeternum e lo convince a partecipare al programma “Another End”. Olivia Williams interpreta Juliette, probabilmente un personaggio secondario legato al processo di rianimazione o alla vita di Sal.
Dopo la morte della moglie Zoe in un incidente, Sal cade in depressione e si incolpa. Sua sorella Ebe lavora per Aeternum, un’azienda che permette di “riportare in vita” i defunti temporaneamente attraverso dei corpi viventi chiamati “locatori”. Sal, inizialmente scettico, partecipa e si innamora di nuovo di Zoe, ora nel corpo di Ava. Superando i limiti dell’azienda, Sal cerca disperatamente di prolungare il tempo con lei. Ava scopre la verità e si allontana, ma un colpo di scena finale la porta a voler rivedere Sal.
La coscienza che sopravvive al corpo
In “Another End” l’idea della coscienza che sopravvive al corpo è un’idea che grazie allo sviluppo tecnologico diventa sempre più plausibile. In questo caso l’esplorazione dell’animo umano diventa più evoluta proprio grazie alla metafora della fantascienza. Anche se in questo caso è proprio l’amore a guidare il centro di “Another End” in tutte le sue forme.
Proprio la perdita, intesa come dolore per un lutto, attraverso queste visioni distopiche, riesce a trattarne il tema senza necessariamente sublimarsi nel melodramma. Difficile non pensare a questa pellicola, senza osservarne altre di una certa rilevanza seppur connotate da un aspetto non trascurabile di intimismo come Eternal Sunshine, “Her“, “Non lasciarmi”, “Another Earth”, “Moon”, “Alps“.
La sceneggiatura di “Another End” costruisce un racconto che, pur partendo dai canoni classici del melodramma, si estende verso una riflessione distopica sulla condizione umana e la nostra relazione con la memoria e l’identità. L’idea di un mondo in cui i defunti possono rivivere attraverso il corpo di un “ospite” si trasforma in una potente metafora per esplorare il confine tra ciò che è reale e ciò che è percepito, interrogando il significato profondo dell’identità e cosa significa davvero “vedere” qualcuno.
Il tema del lutto e la sua rielaborazione in “Another End”
Piero Messina, già noto per il suo lavoro precedente, “L’attesa”, continua a indagare il tema del lutto e della rielaborazione della perdita. Tuttavia, in “Another End” spinge ancora oltre questi temi, esplorando il delicato equilibrio tra corpo e anima, tra realtà fisica e costruzione mentale. Questa visione si concretizza anche nella struttura stessa del film, che si interroga sulla natura della finzione cinematografica. La scena in cui Zoe ritorna in vita nel corpo di Ava, riprodotta come un set cinematografico con tecnici che manipolano gli elementi, diventa una metafora di un’arte che non solo narra storie, ma crea realtà alternative, sospese tra verità e illusione.
Questo processo è ulteriormente amplificato dalle interpretazioni degli attori. Gael García Bernal e Renate Reinsve, rispettivamente nei ruoli di Sal e Ava/Zoe, attraversano con grazia il confine tra intensità emotiva e vulnerabilità. García Bernal rappresenta la disperazione di un uomo che non riesce a riconoscere l’essenza della propria amata in un corpo diverso, mentre Reinsve incarna una presenza magnetica e complessa.
Conclusioni
Visivamente, “Another End” trascina lo spettatore in un mondo sospeso tra il tangibile e l’immaginario. Gli ambienti, con i loro contrasti tra spazi vasti e asettici e interni claustrofobici, riflettono il conflitto interiore dei personaggi. La città, inizialmente prominente, svanisce gradualmente, lasciando spazio a un cinema che focalizza sempre più l’attenzione sui corpi, considerati come luoghi di convergenza tra vita e morte. In questo contesto, Messina riesce a intrecciare estetica e significato, evitando che la bellezza visiva diventi una mera decorazione.
Tuttavia, l’ambizione del film può risultare talvolta un’arma a doppio taglio, caricando l’opera di riferimenti che evocano altri lavori, come “Alps” di Lanthimos o “Equals” di Doremus. Nonostante questo, Messina riesce a evitare il rischio di cadere nella mera imitazione grazie a una regia che privilegia un’immersione sensoriale e un ritmo che alterna momenti di calma a sequenze di intensa tensione emotiva. L’uso sapiente dei silenzi, delle pause e delle atmosfere criptiche, invita lo spettatore a una comprensione intuitiva piuttosto che a una spiegazione diretta della storia.
Il risultato finale è un film che, pur con qualche imperfezione, si distingue per la capacità di coniugare in modo armonico forma e contenuto. “Another End” si conferma come una testimonianza del talento di Piero Messina, un regista capace di trasformare il cinema in un vero e proprio spazio di riflessione e esplorazione. Con un cast internazionale che brilla per intensità e una regia che concepisce il cinema come un’esperienza totalizzante, il film emerge come una delle opere più affascinanti e complesse della stagione, lasciando il segno per la sua profondità tematica e la sua eleganza visiva.