La fine del sogno americano
American Pastoral sa molto di americanità: anche a un primo sguardo fugace rende la sensazione che ad essere questionate sono le abitudini e il modo di vivere di una certa fetta della popolazione statunitense. Si può dire che il film riesca a mantenere un piglio parzialmente pasoliniano, nella misura in cui ogni uomo, ogni famiglia e ogni società sono irrimediabilmente segnati dal contesto storico in cui si ritrovano.
Il titolo dell’opera segnala un impianto che lascia presagire la presenza di molti stereotipi e che essenzialmente conferisce poca originalità al corso della narrazione che, a ben vedere, può apparire scontato. Eppure, dietro a una semplice storia familiare si nasconde una riflessione profonda e molto sottile: il destino non è per sempre benevolo e la fortuna non sorride mai alle stesse identiche persone. La vita è una ruota e per quanto si possa partire da una situazione favorevole, il fato non risparmia nessuno, tessendo trame talvolta inaspettate. La storia poi impone cambiamenti e prese di coscienza: tutto scorre, non potrebbe essere altrimenti.
American Pastoral – La Trama
American Pastoral narra appunto le vicende di una classica famiglia americana partendo (come spesso accade) dalla fine. L’opera apre infatti con l’ennesimo raduno liceale della classe del 1951 che, nonostante siano passati più di trent’anni, insiste nel volersi incontrare, un po’ per disperazione ma anche per inseguire un briciolo di speranza.
Si vede Nathan, scrittore di fama mondiale, girovagare per i corridoi della scuola cercando di assaporare quella rivalsa di cui è disperatamente in cerca. Ma la natura dell’evento lo metterà sempre in connessione con il passato: nella sala trofei dà uno sguardo ai premi esposti e legge il nome di Seymour Levov su almeno la metà degli stessi. Seymour era suo amico; insieme al fratello di lui formavano poi un trio indissolubile che ai tempi del liceo faceva faville (nello sport, a lezione e con le ragazze). Seymour era anche soprannominato “lo svedese”, per la sua quadratura morale e la capacità innata di mantenere il sangue freddo in ogni occasione; dote che gli permetteva (praticamente in ogni contesto) di eccellere.
American Pastoral continua a questo punto con la narrazione della storia del grande “svedese”, interpretato da un sempre affidabile Ewan McGregor. Una volta capitano della squadra di football e basket, divenne poi direttore della fabbrica di guanti del padre, sposando anche Dawn (Jennifer Connelly) la quale è una reginetta di bellezza delle scuole superiori desiderata da tutto il vicinato. I due, come era lecito attendersi, danno alla luce una figlia stupenda che cercano di crescere tra gli agi della fabbrica e la vita rurale dei campi. Sono di fatto anche dei proprietari terrieri e insegnano alla piccola come badare alle vacche e tenere in ordine l’erba degli ettari a loro disposizione.
Tutto sembra andare a gonfie vele ma il destino ha una sorpresa in serbo per loro. Merry Levov (Dakota Fanning) si dimostra da subito una bambina dolce ma ugualmente molto sensibile: questo suo lato debole emerge nelle situazioni più disparate come ad esempio nel suo perpetuo tartagliare che impedisce alla stessa di procacciarsi amicizie. Durante una trasmissione televisiva poi la bambina rimane colpita in negativo dall’estrema protesta di un cittadino indiano che, stanco della situazione politica del suo paese, si dà fuoco in diretta.
L’evento turberà la piccola a tal punto che la stessa comincerà a sviluppare dei sentimenti anti-sistemici, fortemente permeati dal desiderio di schierarsi sempre e comunque dalla parte dei più deboli. Lo scoppio della Guerra del Vietnam non costituirà altro che la scintilla finale a far ardere definitivamente in lei il fuoco della ribellione. Ormai sedicenne, comincia infatti a frequentare New York, molto lontana dagli standard borghesi della sua Newark e dove farà la conoscenza di diversi movimenti politici (tra i tanti ci sono certamente le Pantere Nere).
La sua colpevolezza in un attentato dinamitardo alle poste della sua cittadina rappresenterà l’atto concreto di trasformazione da bambina a delinquente e il passaggio della famiglia Levov da nido della perfezione assoluta a covo di realtà oscure da dover affrontare al più presto.
Ricercata dalla polizia, Merry scappa e diventa latitante. Lo svedese, insieme alla sua preoccupatissima moglie, dà fondo a tutti i suoi risparmi per trovarla ma per almeno qualche anno si troverà costretto a prendere solo un pugno di mosche. Come se non bastasse, ci si mettono di mezzo anche i continui ricatti di gente vicina a Merry che sfrutta la situazione per ottenere un guadagno, facendo leva sulla disperazione altrui.
Merry non sparirà nel nulla per sempre: la caparbietà dello svedese porterà lo stesso a tornare di nuovo davanti alla sua bambina ma questa volta la persona che incontra è totalmente diversa. Le sue credenze sono messe in discussione e capisce che nella vita non ci sono soltanto gli insegnamenti che la civiltà occidentale cerca di inculcare ma la società (specialmente nella sua dimensione politica) ricomprendere differenti opinioni che, se inascoltate, possono tornare indietro con la forza di una tempesta.
American Pastoral – La Recensione
American Pastoral, gioiellino sottovalutato diretto da Philip Roth, rompe con la classica descrizione della famiglia perfetta e pone lo spettatore di fronte a una terribile verità: per quanto le radici di una comunità siano salde, le persone crescono e muoiono da sole. I loro istinti prevalgono sull’educazione, e spiccare il volo appare loro nettamente più affascinante di seguire rotte già tracciate.
Protagonista indiscusso dell’opera è Ewan McGregor, attore dal volto sempre confortevole (in tal senso è perfetto come padre). McGregor si trova di nuovo a suo agio nel dare un volto alla figura saggia della situazione. Di recente su Disney Plus con la serie su Obi-Wan Kenobi, dimostra un carisma ancor una volta apprezzabile e si pone come fulcro del dramma familiare a cui si assiste. Viene affiancato tuttavia da altri interpreti all’altezza, soprattutto Jennifer Connelly, che nella scena in cui impazzisce ed entra nella fabbrica nuda con addosso solo la fascia di Miss New Jersey dimostra vividamente cosa può voler dire perdere la testa.
Completa il quadretto familiare Dakota Fanning, ago della bilancia di American Pastoral e non solo. La sua interpretazione segue il filone de La Guerra dei Mondi, dove la vediamo (in quell’occasione più piccola) sempre in preda al panico e in perenne conflitto con sé stessa. Nel film ricopre un ruolo simile ma incentrato stavolta sulla difficoltà di diventare grandi e convivere con il peso di far parte di un nucleo familiare pressoché perfetto; almeno all’apparenza.
American Pastoral non ha una componente che brilla su tutte le altre ma lascia il segno per la sua grande capacità di mandare in mille frantumi il sogno americano. La storia del secondo dopoguerra (ricco di ottimismo e possibilità economiche) vive di tendenze e controtendenze, dato che il successivo conflitto vietnamita viene percepito (dagli americani stessi) come una guerra essenzialmente sbagliata. Viene sovvertito l’ordine dei fattori e gli stilemi della vita americana non sono più gli unici ad incontrare il supporto popolare.
Ne fa le spese lo svedese che, attraverso la scomparsa di sua figlia, deve fare i conti anche con il venir meno dell’intoccabilità della cultura americana, non più ormai integra ed esposta alle spinte continue della modernità. La sceneggiatura è molto lineare (e oltretutto senza pretese) ma trasponendo su schermo la controparte libellistica riesce a proporre un adattamento toccante (oltre che efficace). Ewan McGregor nelle vesti di padre apprensivo dona infatti al tutto un tocco di dramma in più, senza il quale il film si avvicinerebbe molto al genere giallo.
In conclusione si può dire che le convinzioni morali su cosa è giusto o sbagliato non possono venire soltanto dalla società in cui si vive. Che si tratti di una realtà onnicomprensiva o bigotta, i punti di vista da scandagliare sono molti e meritano di essere presi in considerazione. I modelli di cui seguire le orme possono anche essere molteplici ma il crossover culturale è qualcosa che, al giorno d’oggi, si da sempre per scontato. Per crescere ed evolvere come singolo e famiglia, l’importante è vivere la propria nicchia sociale senza lasciarsi troppo inglobare dalla stessa. Se nessun uomo può vivere al di fuori della propria storia ciò non vuol dire che debba necessariamente farsi definire solo e soltanto da questa.