Siamo soliti definirli “nerd”. Persone con alta propensione per la tecnologia e bassa, talvolta bassissima, attitudine alla socializzazione. Quelli che preferiscono lo schermo alla vita vera, le chiacchiere in chat a quelle sul pianerottolo, la simulazione alla tangibilità. Li crediamo incapaci di affrontare la vita, disabituati all’umanità, ammanicati con l’impero tecnologico che intende sottrarci arbitrio e collettività. E se invece fosse proprio questa loro insana solitaria passione per la rete a salvargli la pelle?
“#Alive” è il nuovo film zombie Netflix. È coreano, ha un impatto visivo dirompente, ed è estremamente convinto che chi soccombe a mondanità e vita vera saprebbe cavarsela sorprendentemente bene con un’invasione di morti viventi.
“#Alive” è già un successo, almeno per i botteghini di Seoul e penisola, con il maggior incasso registrato dopo la riapertura delle sale in seguito alla chiusura causa Covid-19. Per il pubblico lontano dalla Corea del Sud si è immerso da pochi giorni nel catalogo Netflix, ed attende un vostro “zombesco” sguardo.
“#Alive” è tratto da un webtoon (fumetto digitale) del 2014 dal titolo “Dead Days”. Potrebbe, ad onor del vero, essere un remake di altri decine di film. Non abbonda in personalità, né di audacia. Sceglie di girovagare per territori già accuratamente perlustrati dalla tradizione cinematografica delle apocalisse zombie, e di rimanere lì, esattamente dove ce lo spetteremmo, con passo vacillante come i suoi famelici trapassati mostri.
A rendere “#Alive” un intrattenimento accattivante ci pensa l’approccio alla regia di Cho Il-hyung. Questo è il suo esordio nel lungometraggio e nulla ci impedisce di pensare che i suoi lavori futuri potranno essere molto interessanti. Superando anche il suo non originale, per quanto ben realizzato debutto. “#Alive” si nutre di una sana ironia e di una tensione drammatica che sa coinvolgere e tormentare quanto basta. Ma è soprattutto l’efficace make-up da morto vivente a garantire 90 minuti divertissement di genere.
Joon-woo lascia scorrere le sue giornate fissando uno schermo. Rimane seduto alla scrivania nel suo appartamento. La madre lo esorta ad uscire, il padre lo rimprovera per essere troppo distante dalla vita familiare, eppure quelle ore trascorse a giocare in live streaming per lui sono molto appaganti. C’è altro là fuori di altrettanto avvincente? Saranno proprio gli altri giocatori a segnalare che là, nel mondo reale, sta accadendo qualcosa. Un misterioso patogeno si sta diffondendo in tutta la Corea, trasformando le banali e noiosissime persone in zombie affamati di carne umana.
Joon-woo si lascia convincere ad accendere l’arcaica televisione e realizza che l’infezione è già sotto casa. È solo, isolato nella propria abitazione, non ha molto cibo in dispensa. Ma è ancora vivo. Forse uno dei pochi a poter sperare di esserlo ancora per un po’. Il suo asociale istinto potrebbe averlo preservato dall’apocalisse, ma quanto potrà resistere prigioniero fra quelle mura mentre fuori sembrano essere rimasti solo morti cannibali?
L’incomunicabilità potrebbe essere un enorme problema anche per i misantropi più accaniti e Joon-woo sembra davvero sull’orlo di impazzire. Nel palazzone davanti al suo però una tenda si muove. Qualcun altro potrebbe essere ancora vivo. È Yoo-bin (Park Shin-hye, vista ad esempio nella serie TV “Memories of the Alhambra”) una giovane coraggiosa ragazza, dotata di tutta la spigliatezza che sembra disperatamente mancare al nostro non-eroe Joon-woo. La tecnologia viene loro in aiuto: un drone e due walkie-talkie ed il gioco è fatto. Ora posso comunicare, conoscersi, cercare insieme un modo per non essere divorati dai morti che camminano. Così la natura di nerd sembra essere stata provvidenziale ancora una volta. Per quanto ancora la passione che lo ha reso introverso e solitario riuscirà a tenerlo in vita?
“#Alive” è a tutti gli effetti frutto di una vera e propria invasione. I prodotti a tema zombie hanno letteralmente conquistato l’immaginario cinematografico della Corea del Sud. Da quando “Train to Busan” ci ha stregato, si sono susseguiti numerosi tentativi di rievocazione di quella stessa atmosfera zombie-apocalittica. Persino le serie tv coreane hanno abbandonato per qualche sporadico momento le vicende zuccherose da k-dramas per abbracciare la narrazione a tema morti cannibali, come accaduto nella fortunata serie “Kingdom”. “#Alive” esce in effetti a poche settimane dall’arrivo di “Peninsula”, l’attesissimo sequel del fortunato film cult appena citato. Non è difficile comprendere quanto il marketing abbia optato per sfruttare il momento. Senza dubbio il pubblico affamato del genere, in trepidazione per il succulento sequel, è stato incoraggiato a divorare tutto ciò che potesse anche solo ricordare il sapore della pietanza tanto sospirata.
“#Alive”: un po’ compendio dello zombie-movie moderno, un po’ summa del cinema coreano di svago. Il dolce rapporto fra i due protagonisti ricorda molto da vicino i principali personaggi di “Castaway in the Moon” (walkie-talkie a giocare un ruolo determinante) e le furiose fughe per sfuggire al morso letale, atte ad aumentare a dismisura la tensione, sono esattamente quelle che ci si aspetterebbe.
La pellicola riesce nonostante la nemmeno ricercata originalità a sfoderare qualche arma per difendersi dalle critiche più nerborute. Ad essere davvero interessante è l’analisi socio-tecnologia di “#Alive”: l’utilizzo dei social network, dei droni, delle telecamere perennemente in funzione su ogni dannato marchingegno tecnologico sono armi per offendere? O strumenti di protezione? Quella rete in cui molti hanno scelto di rifugiarsi può realmente essere, come ci è stato spesso promesso, divenire una risorsa, o è destinata a intrappolarci senza lasciarci via d’uscita? Le occasioni di riflessione ci sono, ma forse il film si limita a suggerirle con troppa timidezza.
“#Alive” è una storia zombie. Le sue trepidazioni cardiache barcollano livide e sanguinanti come ogni morto vivente degno di questo nome. E la questione vacilla e morde a meraviglia, grazie ad un ottimo lavoro di trucco e fotografia, capaci di rendere molte scene succulenti e raccapriccianti. Ma questo è forse tutto ciò a cui puoi fermamente aggrapparti. Difatti, nonostante ci sia un attore formidabile a vestire i panni del protagonista (Yoo Ah-in – brillante interprete del meraviglioso trasognato “Burning” di Lee Chang-dong) qui il personaggio principale non è molto a fuoco. Goffo, immaturo, indubbiamente di cuore. Eppure non sapremmo cosa altro raccontare di lui. Un personaggio bene interpretato ma abbozzato. Di cui non ricorderemo molto a parte i capelli tinti di biondo e le sue fughe per corridoi affollati di zombie.
“#Alive” è un film in cui si cerca di mantenere in vita l’intrattenimento mediante il solo impatto visivo. E non in ogni scena questo appare sufficiente. A sua discolpa vorremmo ricordare quanto possa risultare complesso essere originali sul frequentato refrain zombie. Anche voi potreste domandarvi con quali occhi sbirciare dentro l’ennesimo appartamento in cui il solito anomalo ragazzetto prova a sopravvivere all’assalto improvviso di cadaveri affamati e sanguinolenti. Vi consigliamo di contenere le aspettative e concentrare la vostra attenzione sulle belle orride facce degli zombie; sono proprio loro la parte più divertente da guardare.