Fondata nel 2012, la casa di produzione A24 è diventata subito sinonimo di qualità, proponendo film che, durante questi dieci anni, hanno emozionato e stupefatto il pubblico di ogni età. Il marchio di questa è tangibile e visibile in quasi tutti i film, caratterizzati principalmente da una non banale fotografia e da eccezionali storie.
Dagli horror di Ari Aster al Macbeth di Joel Coen, i generi toccati sono molteplici. Storie di adolescenza, storie di vita e di morte, di amicizia e di amore. Ogni cosa risponde ha un particolare movimento che, forse azzardando, si potrebbe definire quasi come poetica identitaria. La A24, in questo senso, va oltre le grandi case di produzione americane, provando a dare un’impronta chiara nelle sue opere.
Ecco cinque titoli targati A24 che vale la pena recuperare.
Moonlight: un viaggio in tre atti
Probabilmente tra i più noti prodotti della A24, Moonlight è la narrazione in tre atti del percorso di crescita di un ragazzo afroamericano a Miami. Vincitore del premio Oscar, a scapito di un film come La La Land, l’opera di Barry Jenkins conduce lo spettatore in un viaggio introspettivo alla scoperta di Chiron.
Il ragazzo vive con la madre, interpretata da Naomi Harris, a cui l’uso di droghe limita la possibilità di crescere il figlio. Chiron trova, quindi, una guida in Juan, interpretato da Mahershala Ali, premiato con l’Oscar proprio per questo film.
Per quanto riguarda la vittoria nella principale categoria dei premi Oscar, ha sicuramente influito il particolare periodo storico in cui il film è uscito. Dopo otto anni di presidenza di Barack Obama, gli Stati Uniti d’America consegnavano nel 2017 le chiavi della Casa Bianca a Donald Trump. Bisogna, però, riconoscere comunque le capacità del regista, al di là della funzione politica e sociale del film, di narrare la scoperta della Vita in un modo così sensibile e sincero.
Minari: un nuovo paradigma
Con protagonista Steven Yeun, Minari è una rivisitazione del concetto di sogno americano. Stravolgendo completamente il canonico paradigma, il regista Lee Isaac Chung ci racconta di una famiglia coreana che si stabilisce in Arkansas e decide di portare un po’ di cultura orientale all’interno della realtà americana.
Secondo la visione presente nel film, l’uomo non deve integrarsi nella società per perseguire la felicità, bensì ne deve rimanere fuori, coltivando i sentimenti familiari come unici semi della realizzazione interiore.
La visione del migrante non è più quella di colui che deve imparare dai cittadini della terra in cui giunge, secondo una tradizione paternalistica radicata sia in Nord America che in Europa, bensì deve farsi portatore delle proprie esperienze e conoscenze, al fine di trasmetterle ai popoli che incontra.
Il film ha vinto, tra gli altri premi, l’Oscar alla miglior attrice non protagonista grazie a Yoon Yeo-jeong.
Euphoria: il realismo fantastico di Sam Levinson
Sarebbe riduttivo e disonesto definire Euphoria esclusivamente una serie teen, perché, seppur cadendo ogni tanto in evitabili stereotipi, la serie scritta da Sam Levinson è uno spaccato, realistico quanto fantastico, della gioventù americana che si appresta a terminare gli studi liceali.
La straordinaria fotografia si unisce alla colonna sonora da brividi di Labirinth per creare una sinfonia che, grazie anche ad alcune notevoli interpretazioni, diventa un’esplosione di vitalismo ed emozioni.
L’attrice Zendaya, premiata con il Golden Globe per la sua interpretazione nella seconda stagione, ci regala il personaggio debole e autodistruttivo di Rue, che si muove all’interno di una fitta rete di personaggi, tra cui spiccano le interpretazioni di Angus Cloud, Jacob Elordi e Sidney Sweeney.
The Lighthouse: horror e mitologia
Non poteva mancare in questa lista Robert Eggers, che ha reso grande la A24 ed è stato reso grande dalla stessa. Dopo l’esordio alla regia di un lungometraggio con The Witch, il regista americano dirige The Lighthouse, horror onirico e con tinte mitologiche.
I due protagonisti, interpretati da Willem Dafoe e Robert Pattinson, si ritrovano soli in mezzo al mare nel faro che dà il titolo al film.
Lo spazio ridotto esaspera e amplifica il procedere del disastro in un film che per allegorie e interpretazioni attoriali è tra i film più riusciti degli ultimi anni. Da segnalare una notevole fotografia, caratterizzata principalmente da un onirico, quanto destabilizzante, bianco e nero.
Midsommar: il folk-horror
Diretto da Ari Aster, Midsommar è un horror atipico che vuole destrutturare il genere canonico per dar vita a una rappresentazione rurale e bucolica di un villaggio scandinavo.
La protagonista, interpretata da Florence Plugh, si ritrova in un periodo critico a causa della morte della sorella e dei genitori e a causa di difficoltà relazionali che vive con il proprio fidanzato. Insieme al gruppo di amici di quest’ultimo, la ragazza giungerà in Svezia, dove parteciperà ad un particolare festival folkloristico di metà estate.
Un horror alla luce del sole, che conferma le straordinarie abilità di un regista che, già visto in Hereditary, cimentandosi principalmente in tale genere, lo capovolge e lo estremizza.