Settimo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Louisa May Alcott, Piccole Donne, scritto e diretto da Greta Gerwig riporta alla luce la celebre storia di Meg, Jo, Beth e Amy, quattro sorelle con i loro pregi e i loro difetti che, pur essendo povere e con i problemi tipici dell’adolescenza, imparano a crescere e a diventare ragazze responsabili, donne mature pronte a difendersi da qualsiasi vicissitudine e a combattere per il proprio futuro.
Ogni generazione merita di conoscere Piccole Donne, indipendentemente dall’epoca. Pubblicato inizialmente in due volumi nel 1868 e nel 1869, è probabilmente uno dei romanzi più famosi e amati nella storia della letteratura americana. Questa è una qualità senza tempo di alcuni classici e, la storia di queste quattro sorelle così affiatate, continua a deliziare, sentendosi viva oggi come lo era 150 anni fa. Tradotto in 50 lingue, il romanzo non è mai andato fuori stampa e la sua popolarità sembra improbabile che svanisca nei secoli a venire. A prima vista il film potrebbe sembrare solo un milionesimo e generico dramma in costume, l’ennesima trasposizione cinematografica del romanzo, ma in realtà è tutt’altro. L’adattamento fresco e leggero di Greta Gerwig è un risultato raro che scava più a fondo nella storia della scrittrice. Rispettosa del materiale di partenza, la regista si attiene al periodo originale, assemblando un cast stellare per interpretare le famiglia March. Con una delicata attenzione ai dettagli del periodo, dall’ambientazione ai costumi, il film gioca con la cronologia, dardeggia negli anni e alterna due tempi diversi nella vita delle sorelle: da adolescenti e da adulte seguendo percorsi diversi. Si sposta avanti e indietro tagliando la trama in flashback e flash-forward, e tenendoci incollati allo schermo. La narrazione è innovativa e refrigerante e, al contempo, gestisce coraggiosamente messaggi importanti. Saltare nella storia permette di evidenziare temi rimasti inesplorati in altri adattamenti, senza ignorare le scene classiche e nostalgiche dell’infanzia delle sorelle. Questo insolito ma efficace stile di narrazione sembra un mistero che viene lentamente svelato, un arazzo che viene intrecciato accuratamente insieme per noi spettatori.
Il film si apre con Jo adulta, interpretata da Saoirse Ronan, volto già noto della pellicola precedente della Gerwig “Lady Bird” (2017). Jo vive a New York City, lavorando come insegnante e vendendo le sue storie anonime ad una rivista. Costretta a tornare a casa per un’urgenza, Jo inizia a ripensare alla sua infanzia in Massachusetts, con la sua amorevole Marmee (Laura Dern) e le sorelle Meg (Emma Watson), Amy (Florence Pugh) e Beth (Eliza Scanlen). Il loro padre (Bob Odenkirk) è in guerra e Jo scrive febbrilmente melodrammi floridi per le sue sorelle da esibire quando non guadagna soldi lavorando come dama di compagnia della vecchia zia March (Meryl Streep). Una figura chiave esterna nella vita delle ragazze arriva sotto forma del vicino Laurie (Timothée Chalamet), adolescente gentiluomo che si unisce al loro cerchio interno. Il nonno di Laurie, il signor Laurence (Chris Cooper), diventa amico della timida e malata Beth, mentre Meg si innamora del tutor di Laurie, John Brooke (James Norton). Il film è girato a Concord, nel Massachusetts, dove viveva la stessa scrittrice con la sua famiglia. La regista attinge magnificamente alla geografia della regione: la vivida esuberante tavolozza di colori autunnali del New England arrossisce attraverso le scene dell’infanzia; la modesta gentilezza della casa della Alcott viene ricreata per la residenza della famiglia. È una casa che irradia calore, e non solo perché la Gerwig ha preso in prestito un trucco dal film “A single man” di Tom Ford, inondando il telaio con un bagliore lussureggiante e saturo nei momenti di gioia. La casa è sempre stato un elemento cruciale in Piccole Donne. Infatti, non è la fuga di Jo a New York che le permette di trovare la sua voce creativa, ma proprio il suo ritorno nel cuore della famiglia. La storia per molti sarà già nota, ma ciò che conta è il modo in cui la Gerwig la racconta. La maggior parte degli adattamenti tende a concentrarsi su Jo, quasi escludendo gli altri personaggi, ma questa volta conosciamo Amy, Meg e persino Beth un po’ più del solito, il che si traduce in accoppiamenti romantici che hanno più senso e un sentimento più organico di quello di altre versioni. Il film comunque rimane molto fedele all’opera originale e presenta i momenti che ci aspettiamo e amiamo in un film di Piccole Donne: le sorelle March che si radunano intorno a Marmee intenta a leggere una lettera del loro padre, l’inettitudine occasionale di Jo che coinvolge arricciacapelli e il fuoco dei caminetti, l’impulsivo atto di vendetta di Amy verso una delle sue sorelle, e così via.
La difficile questione della crescita, e del modo migliore per rappresentarla nel breve periodo di un film, ha messo alla prova tutti coloro che hanno cercato di adattare il romanzo della Alcott sullo schermo. Ma le Piccole Donne della Gerwig trascendono la storia della maturità e si tuffano nell’esperienza della femminilità. Cosa significa essere una donna, una sorella, una figlia, una madre, una moglie, un’artista? Piuttosto che inserire il femminismo del 21° secolo, anacronistico e pesante in un pezzo d’epoca, il film illustra le sfide della donna del 19° secolo già presenti nel testo e nella vita della Alcott, sottolineando in maniera eccelsa gli atteggiamenti del tempo nei confronti delle donne e le loro opinioni riguardo il matrimonio, il lavoro e le finanze. La Gerwig è troppo sottile e talentuosa per diventare polemista in queste scene, infatti queste diventano osservazioni organiche e necessarie, e il film permette loro di atterrare delicatamente, senza rumore, eppure lasciando un segno indelebile. Il finale fonde elegantemente la fine della storia di Jo con le esperienze di vita reale della Alcott. Attingendo alla pressione che la Alcott ha dovuto affrontare da parte di lettori ed editori per concludere la storia con un matrimonio, la Gerwig presenta Jo/Louisa in lotta per i suoi personaggi nell’ufficio del suo editore e finalmente accetta le giuste condizioni per scrivere il finale che si aspetta. Lo spettatore arriva a guardare la scena “sotto l’ombrello” con la sensazione che questo accada solo a Jo nel libro, non nella sua vita reale. Quindi alla fine osserviamo Jo (o forse la stessa Alcott) osservare con impazienza la stampa di Piccole donne. Con “Lady Bird”, Greta Gerwig ha dimostrato di essere una regista in grado di evocare interpretazioni memorabili fino in fondo, e quei doni sono evidenti anche in quest’ultimo film che risulta essere un’opera con mente, anima, cuore, ambizione e talento, proprio come la figura della donna descritta da Jo in una scena. In un’epoca in cui il sentimentalismo è un condimento che i cineasti evitano del tutto o impiegano con una mano troppo pesante, la Gerwig realizza un’opera sull’amore, sulla famiglia, la devozione e l’empatia, un prodotto complessivo innegabilmente bello che si muove senza essere manipolatore, facendosi portavoce di una femminilità plurale, variegata e multiforme che è il vero punto di forza de film.
Voto Autore: [usr 4,0]