In occasione dell’uscita su Netflix del documentario di Mario Martone su Massimo Troisi, Laggiù qualcuno mi ama, vediamo oggi Il Postino, quello che probabilmente è il capolavoro della filmografia dell’attore partenopeo, peraltro ultimo film prima della sua prematura morte.
Il film, diretto da Michael Radford nel 1994, si ispira al libro dello scrittore cileno Antonio Skármeta, Il postino di Neruda e può contare sull’apporto creativo di grandissimi professionisti quali Furio Scarpelli tra gli sceneggiatori (autore della sceneggiatura di capolavori del cinema italiano quali Il buono, il brutto e il cattivo, La cena, I soliti ignoti), e Luis Bacalov, compositore leggendario che per la colonna sonora de Il Postino ha ottenuto un Oscar (unica statuetta vinta sulle 5 candidature).
Il film è attualmente disponibile su Netflix.
La trama
Siamo negli anni ’50 e il protagonista, Mario (Massimo Troisi), vive su un’indefinita isola del Mediterraneo e non ha un lavoro. È un uomo semplice, sogna l’America e ambisce a una vita diversa da quella del pescatore, unica vera professione che sembra essere accessibile in un luogo così remoto e sperduto.
Tutto cambia con l’arrivo del poeta Pablo Neruda (Philippe Noiret), in esilio dal Cile e ospitato in Italia in quel periodo. L’uomo, assieme alla moglie Matilde, vive in una casetta isolata e per questo l’ufficio postale locale cerca un postino che possa recapitargli quotidianamente tutta la corrispondenza che amici e ammiratori gli spediscono. Mario diventa quindi proprio questo, il postino personale di Neruda, e se dapprima l’uomo rimane affascinato dal poeta per il suo naturale carisma e per il successo che ha con le donne, successivamente i due riescono a instaurare un dialogo che si tramuta piano piano in una vera e propria amicizia.
Tra una chiacchierata e l’altra anche Mario si inizia a interessare alla poesia, e scopre le meraviglie che si possono compiere con un sapiente uso della parola, tanto che utilizza una composizione di Neruda per fare colpo sulla bellissima Beatrice (Maria Grazia Cucinotta), la nipote della proprietaria dell’osteria. Nonostante la ritrosia dell’anziana zia nei confronti della loro unione, Mario e Beatrice finiscono per sposarsi con Neruda come testimone, e proprio durante la festa di nozze arriva la notizia della fine dell’esilio del poeta, che può quindi finalmente tornare in Cile.
Una trama semplice e senza troppe diramazioni, ma non per questo di scarsa qualità: anzi, Il Postino riesce a toccare le corde giuste dello spettatore, mettendolo davanti a una storia a tratti veramente commovente, anche a causa della tragica morte che raggiunse l’attore protagonista il giorno dopo la fine delle riprese.
“Volete dire allora, che il mondo intero è la metafora di qualcosa?”
Il Postino è un film che racconta di quanto possa essere stretto un piccolo paese del sud Italia negli anni ’50 per una persona con un animo artistico e sensibile, sicuramente diverso da quelli rudi e inquadrati della maggioranza degli abitanti dell’isola. Ma è anche un film sull’amicizia, sull’amore e sulla potenza della poesia che riesce a parlare una lingua diversa, ma universale, capace di condensare in pochi versi verità primordiali comuni a tutti gli uomini.
C’è spazio però anche alla satira, di quella più pungente, rispetto alla politica dell’epoca, che gioca con le credenze e l’ignoranza del piccolo paese. “I comunisti in Russia mangiano i bambini” dice il parroco, chiaramente fedele alla Democrazia Cristiana, e questo rappresenta benissimo il quadro di un periodo storico in cui lo schieramento politico era praticamente cosa essenziale, se non altro anche soltanto per poter beneficiare delle promesse fatte in sede elettorale (come dimostrato dal candidato Di Cosimo, che poi però ferma i lavori per l’acquedotto non appena viene eletto).
Il Postino è quindi un’opera che parla anche di politica, ma che nei fatti è completamente antipolitico, esattamente come è antipolitica la conclusione ultima a cui giunge nel finale: poesia e politica, nonostante spesso vengano accostate, non possono e non potranno mai coesistere.
L’isola
Le chiacchierate tra Mario e Neruda, se inizialmente sono brevi e di poco conto, diventano sempre più interessanti, tanto da toccare i temi più disparati. Sicuramente le più affascinanti, capaci di toccare vette altissime di scrittura, sono quelle che paradossalmente riflettono sulle cose più semplici della vita, perché è proprio in quelle che gli uomini riescono a incontrarsi, ognuno con un approccio, un vissuto e un percorso diverso.
Un incontro, quello tra Mario e il poeta, che serve alla crescita personale di entrambi, in quanto presto scopriranno di avere molte più cose in comune di quanto inizialmente credono. L’isola, infatti, non è soltanto il luogo d’esilio per Neruda, ma lo è anche per Mario, troppo distante dalla vita che si richiede in un posto del genere. È come se entrambi si ritrovassero soli in un luogo che non è casa loro, ma che lo diventa col tempo: per Neruda quando scopre l’amicizia di Massimo, e per il postino quando, nel finale, inizia finalmente ad apprezzare le cose belle della sua terra.
Un esilio condiviso che diventa quindi meno amaro, e che, anzi, fa nascere un’amicizia profonda e spirituale, capace di valicare i confini del tempo e dello spazio, con Mario che continua a seguire negli anni le gesta del poeta dai giornali, e con Neruda che 5 anni dopo decide di tornare dal vecchio amico pur scoprendo l’amara verità sul suo destino.
Il Postino, un Massimo Troisi commovente
Philippe Noiret, l’interprete di Neruda, in un’intervista affermò: “Massimo non recitava né in italiano né in napoletano, recitava come soltanto lui sapeva fare”.
Questa è probabilmente la miglior definizione che si potesse dare dell’attore napoletano, che già in passato aveva dimostrato di essere capace a cimentarsi in ruoli sia comici (ad esempio Non ci resta che piangere, a fianco dell’amico Roberto Benigni) che drammatici (Che ora è o anche Le vie del signore sono infinite). Ma con Il Postino, Troisi raggiunge vette qualitative altissime, essendo riuscito a trovare un perfetto bilanciamento tra le note comiche e quelle strazianti, il tutto pur soffrendo a ogni ciack per le condizioni di salute sempre più precarie.
Se ci pensiamo, Il Postino ha un che di miracoloso, un’aura quasi divina, che risulta inspiegabile di fronte a un’analisi logica e razionale, ma che ha reso l’opera ancora più leggendaria. La storia ci racconta infatti che il 4 giugno 1994, il giorno dopo la fine delle riprese, Massimo Troisi fu stroncato da un infarto, un po’ come se l’uomo già sapesse che sarebbe arrivata la sua ora, ma l’artista avesse chiesto a chi lo aspettava dall’altra parte ancora un po’ di tempo per finire quello che aveva iniziato.
Conclusioni
Il Postino è un film capace di mettere d’accordo tutti, anche chi non apprezza il genere o non si ritrova nella storia raccontata. Questo perché le tematiche universali e l’interpretazione di un grande attore alla sua ultima corsa hanno reso il film un qualcosa capace di arrivare a chiunque.
Un’opera semplice, genuina, spontanea, che riesce quasi infondere pace nello spettatore, ma che allo stesso tempo riflette su un’inquietudine sottile che caratterizza chi ama l’arte e ne fa parte della propria vita.
Un film che, in fondo, parla un po’ di tutti noi.