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Le due sorelle

Le due sorelle (Sisters, 1973) è un thriller psicologico scritto e diretto da Brian De Palma, ispirato al caso delle due sorelle siamesi Masha and Dasha Krivoshlyapova. Il film inizia come un giallo incalzante con delle belle punte di ironia, per poi prendere una piega horror fino a un finale per niente consolatorio.

Le due sorelle

Il film si apre con un uomo in uno spogliatoio maschile nel quale vede entrare una donna cieca, che, ignara della presenza dell’altro, comincia a spogliarsi. Capiamo velocemente che si tratta di una candid camera televisiva per un quiz chiamato Peeping Tom, termine inglese che indica volgarmente il guardone.

La modella assunta per interpretare la donna cieca è Danielle Breton (Margot Kidder), canadese da poco arrivata a New York. Alla fine della puntata lei e Philip (Lisle Wilson), l’ignaro compagno della candid camera, passano la notte insieme. Ci sono però due presenze nella vita di Danielle, sua sorella gemella Dominique e l’ex-marito Emil (William Finley) che continua a perseguitarla. Philip tranquillizza Danielle promettendole di passare con lei anche tutta la giornata successiva. La mattina dopo però Dominique, in uno scatto di gelosia, uccide Philip. Scoperto l’accaduto, Danielle e Emil cercano di nascondere le tracce, ma la dirimpettaia giornalista Grace Collier (Jennifer Salt) ha visto tutto e indagherà anche in assenza di prove.

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Le due sorelle

Le due sorelle è un film saturo di idee, dall’abbondanza di linee narrative alle implicazioni sociali. È indubbio che debba tantissimo a Hitchcock, a cui fa riferimento con l’ossessione per le tematiche morbose, che qui ricordano sicuramente Psyco, la suspense e soprattutto l’uso analettico degli oggetti. Dai coltelli vinti al programma televisivo, alla torta con i nomi sopra, fino magistralmente, al divano, il cui uso ironico è un chiaro riferimento alla panca di Nodo alla Gola: ogni oggetto è posto in scena per avere poi un ruolo chiave nella narrazione.

Le due sorelle

Il film però nella seconda metà prende una piega che si discosta molto dalla poetica hitchcockiana e dal genere del giallo. Infatti, diventa poi una riflessione non solo sul doppio fisico e mentale, ma anche sul doppio della società, riallacciandosi così alla primissima scena del film. Tutto il film è infatti giocato sulle inquadrature dal buco della serratura, ovvero soggettive che ci fanno sentire alternativamente le spie e gli spiati della situazione. Questo duplice effetto è amplificato dall’uso martellante di split screen, usati intelligentemente anche per accrescere la suspense. Verso l’ultima mezz’ora però, Brian De Palma sembra creare un parallelismo tra la reality tv della scena iniziale e il conturbante montage finale dell’ipnosi, avanzando quindi la domanda se sia veramente reale tutto quello che sentiamo o vediamo. Questo clima di sospetto è presente per tutto il film: i poliziotti non credono a Grace, che non viene creduta neanche alla clinica quando il direttore la fa passare per pazza, e noi stessi, nella scena di sovrapposizione tra Grace e Dominique, non sappiamo a che cosa credere.

Esempio di split screen nel film

È inoltre impossibile non scorgere anche dei risvolti sociali. Infatti, Grace è una giornalista che ha denunciato i soprusi della polizia; Philip è un afroamericano che subisce, da vivo e da morto, un trattamento razzista; infine è la stessa clinica a instillare la pazzia nei suoi pazienti. Il finale è di conseguenza molto amaro: per colpa di alti poteri che manipolano la realtà, sappiamo quasi di per certo che la verità dell’accaduto non salterà mai fuori. Si dimostra quindi un film ricchissimo di chiavi di lettura, forse troppo ricco: sfugge infatti il senso complessivo. Purtuttavia rimane un’opera affascinante e conturbante, in quanto esplorazione di generi che approda a un finale sconsolante più vicino a Cronenberg che a Hitchcock.

Le due sorelle non è tra le pellicole più famose di Brian De Palma, ma è un film che sicuramente vale la pena recuperare.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
performance
emozioni
Marianna Cortese
Marianna Cortese
Attualmente laureanda in Lettere Moderne, ho sempre avuto un appetito eclettico nei confronti del cinema, fin da quando da bambina divoravo il Dizionario del Mereghetti. Da allora ho voluto combinare cinema e scrittura nei modi più diversi e ho trangugiato di tutto: da Kim Ki-Duk a Noah Baumbach, da Pedro Almodovar a Alberto Lattuada. E non sono ancora sazia.

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