Cartoline dall’Inferno è un film del 1990 diretto dal regista Mike Nichols (Il laureato) e interpretato dalla coppia Meryl Streep e Shirley MacLaine. É la storia di due attrici legate da un rapporto madre figlia e dei loro problemi di tossicodipendenza. É una commedia mescolata al drammatico, tratta dal romanzo semi – autobiografico dell’attrice Carrie Fischer (Principessa Leila in Guerre Stellari) che racconta dell’abuso di droghe vissuto durante il suo periodo di maggior successo.
Il film è stato candidato a diversi festival, tra cui due candidature al premio Oscar (una delle quali come migliore attrice protagonista a Meryl Streep) e tre candidature al Golden Globe (di cui una alla miglior attrice non protagonista per Shirley MacLaine). Oltre a diversi riconoscimenti ha riscontrato all’epoca un ottimo successo di pubblico, incassando quasi 40 milioni di dollari nei box office di tutto il mondo.
Cartoline dall’inferno trama
La storia racconta di una giovane attrice, interpretata dalla Streep, impegnata nelle riprese di un film nel ruolo da protagonista. I suoi problemi di tossicodipendenza le daranno qualche difficoltà nel riuscire a completare lo sceneggiato ma per far sì che questo avvenga viene affidata alla madre per il periodo previsto. Una madre, interpretata dalla MacLaine, anch’essa attrice di Hollywood ma in declino, che soffre di alcolismo. La sua determinazione però, attraverso una buona dose di volontà, è di aiutare la figlia, assistendola sul suo stato di salute.
Cartoline dall’inferno recensione
Il film scorre molto bene grazie alla bravura di due grandi attrici hollywoodiane, che da sole riescono facilmente a portarsi a casa una pellicola di spessore, merito anche della costruzione tecnica dovuta al regista Mike Nichols, appartenente alla New Hollywood, che dimostra ancora una volta di essere un autore a tutto tondo e di saper intrecciare egregiamente la commedia al drammatico.
Dalla visione si comprende come il regista strizzi l’occhio a una tematica molto cara a tanti altri suoi colleghi e che ha segnato il passaggio al cinema post-moderno, ovvero il Meta Cinema, cioè il cinema che scopre sé stesso e parla di sé. L’idea di alternare scene di finzione (i momenti sul set) con scene realistiche, corrisponde a intrecciare la realtà alla fantasia, e a unire i due piani fondendoli insieme.
Ci sono più scene che chiaramente lo dimostrano.
La più significativa avviene all’inizio del film quando la Streep assieme a due amiche è intenta a prendere un aereo per tornare dalla vacanza. Al controllo doganale che avviene con gli agenti, si scopre ad un tratto (grazie a un evidente sguardo in camera) di come in realtà quella fosse soltanto una scena che una troupe sta girando all’interno della storia stessa. Il finto regista è tra le altre cose Gene Hackman, qui in un piccolo ruolo ma tutto sommato rilevante. Questa sovrapposizione è presente spesso nella pellicola e in diversi punti è difficile quasi intuire quale punto sia vero e quale recitato; ma ciò non provoca fastidio alla visione. Anzi, si comprende come il regista si diverta a sovrapporre i due livelli e a svelare la magia che si nasconde dietro.
Le inquadrature presenti fanno supporre allo spettatore la veridicità di alcune immagini, svelandone poco dopo la finzione, ad esempio la strada trafficata riprodotta su uno schermo. La contrapposizione tra scene vere del film e scene di finzione, cioè del film nel film, è un espediente che serve al regista per fare un’analisi su cosa vuol dire fare Cinema e per interrogarsi sulla settima arte, tema per l’appunto che hanno toccato tantissimi altri registi innamorati come Nichols di questo mestiere e che intendono sviscerarlo per comprenderlo appieno.
Le scene in cui appunto la Streep si confronta con i produttori del film sono rappresentative per smascherare alcune dinamiche da set nella vita vera, ed anche un po’ critiche come ad esempio il rivelare l’intento ultimo dei produttori, il pensare esclusivamente al denaro, non curandosi della persona in sé ma solo di ciò che lei può apportare al film stesso, ovvero l’incasso. I ruoli delle due protagoniste guarda caso sono anche i loro lavori nella realtà, ancora una volta a dimostrazione di come si voglia mescolare i due piani e giocare con essi.
L’attrice Shirley MacLaine è in un ruolo perfetto per lei e dimostra di essere davvero una delle attrici migliori di Hollywood; il suo legame nella storia con Meryl Streep è significativo e ben illustrato. I loro diverbi classici da madre a figlia mostrano due donne che vivono una difficoltà enorme ma che alla fine riescono dignitosamente ad alzare la testa e a manifestare la loro forza di fronte a un qualsiasi pubblico. La scena in cui intonano una canzone davanti agli ospiti di casa è simbolica perché rivela in un certo qual modo le due diverse identità.
In conclusione Cartoline dall’inferno si rivela funzionale e può essere considerata una piccola perla all’interno di una produzione cinematografica di tutto rispetto per un regista che dall’inizio della carriera ha sempre tentato di portare una ventata di freschezza, rinnovando il cinema americano per sempre.