Quando è stato consegnato alle stampe il programma della Mostra d’arte cinematografica di Venezia di quest’anno, l’attenzione di tutti gli addetti ai lavori (ma anche dei semplici curiosi) è subito caduta su questo titolo, impegnativo e altisonante al tempo stesso. Martin Eden è la libera interpretazione cinematografica del più celebre romanzo dell’autore americano Jack London, nata dalla mente di Pietro Marcello e del co-sceneggiatore Maurizio Braucci. Libera interpretazione, appunto, e non semplice trasposizione sullo schermo. Fin dalla lettura della sinossi ci si rende conto che quella del regista è una versione 2.0 del Martin Eden letterario, che pur non cambiando di per sé il contesto temporale in cui si verifica, si adatta alla perfezione alle esigenze e ai palati dei cinefili del XXI secolo.
A differenza del romanzo di London la storia non si svolge negli Stati Uniti, ma nella Napoli di fine Ottocento, anche se il regista gioca molto con la linea temporale per tutto il corso della pellicola. Il protagonista è un marinaio che, avendo salvato un giovane borghese da una rissa, entra in contatto con la sua famiglia, gli Orsini. Durante il pranzo Martin vede per la prima volta la bella Elena, la primogenita, e subito ne rimane ammaliato. Martin esce da casa Orsini innamorato non solo della ragazza, ma dei discorsi, dei libri, della vita con cui quella famiglia altolocata trascorre le sue giornate. L’ambizione di entrare a far parte di quel mondo trova però un ostacolo apparentemente insormontabile nella scarsa cultura di Martin, fermo ad un’istruzione elementare. La smania di amore e di cambiamento lascia dunque spazio ad un altro sogno: quello di istruirsi e di diventare scrittore di professione. Il protagonista si spezza la schiena non nei campi o per mare, ma chinando la testa su decine di libri, e, grazie al fondamentale aiuto di Elena, comincia anche a scrivere racconti e saggi, senza successo. La crescente partecipazione politica di Martin, che comincia a frequentare gli ambienti socialisti e operai di Napoli, lo allontanano insanabilmente dalla sua amata, più preoccupata dell’influenza di Eden sulla sua famiglia che del suo amore sincero. Ben presto però Martin conosce la fama e il successo, e insieme a loro anche una “crisi di valori”, dato che si rende conto che i testi che prima venivano rifiutati e bollati come di poco valore, ora gli permettono di vivere l’esistenza che ha sempre sognato.
Il primo aspetto che stupisce e incolla alla poltrona qualsiasi spettatore appassionato di cinema è la regia di Pietro Marcello, indissolubilmente legata alla straordinaria sceneggiatura di Braucci, vero e proprio cantore di Napoli in moltissimi film, da Gomorra al recente La paranza dei bambini. Il tocco del regista risente in maniera molto marcata dell’esperienza nel documentario da parte di Marcello. Un cinema non fiction, il suo, che tuttavia non perde mai la propria impronta di fondo, che negli anni è diventata inconfondibile, e lo ha reso un maestro del settore. In Martin Eden, le vicende del marinaio sognatore si alternano in modo volutamente spiazzante con immagini di repertorio di tutte le epoche. Vediamo sullo schermo un veliero che affonda, i contadini del sud che lasciano le loro famiglie per imbarcarsi verso il nuovo mondo, i roghi di libri dei nazisti, due bambini che ballano rock’n’roll negli anni del boom economico. Ecco che dunque il rifarsi al suo passato professionale diventa per il regista espediente artistico per nobilitare la storia rappresentata attaccandole addosso un’aura di universalità e di extra-temporalità. In questo senso è interessante ed efficace l’uso abbastanza ampio del montaggio parallelo, purtroppo non più molto utilizzato al cinema, e non solo in Italia, ma che, se studiato a puntino, può risultare fortemente evocativo. Non si può parlare per tanto di un’ambientazione fissa; Marcello si diverte a portare lo spettatore in una direzione e poi a disilluderlo clamorosamente, e riesce a farlo anche con il tempo. Improvvisamente si vede spuntare sullo schermo una televisione oppure transitare un’automobile. Gli abiti sono una volta quasi contemporanei e nell’inquadratura successiva chiaramente antichi. E’ un continuo gioco che il regista può fare solo con l’ausilio dello spettatore, che deve stare alle sue regole per divertirsi.
Anche dal punto di vista tecnico il lavoro di Pietro Marcello è stato ineccepibile. La macchina da presa è incredibilmente solidale con lo stato emotivo dei protagonisti, anche a costo di rompere i classici cliché tipici del mezzo. La si vede seguire animatamente i protagonisti nei momenti di agitazione (resi quasi sempre con primi piani), con movimenti di quadro che spesso fanno anche perdere la messa a fuoco. Oppure si sofferma sul primissimo piano di Elena mentre legge le lettere che ha inviato a Martin, con uno sfondo fisso, colorato la prima volta di turchese, la seconda di rosso fuoco. Tutte queste accortezze hanno il compito di non sminuire la resa sullo schermo di una sceneggiatura sulla carta di altissimo livello. Inutile dire che questo obbiettivo è stato lodevolmente raggiunto.
Come non parlare poi del protagonista, nel romanzo chiaramente ispirato alle vicende autobiografiche dell’autore, anche lui partito dal basso e arrivato nell’Olimpo della letteratura. Martin è un eterno insoddisfatto della propria condizione. All’inizio non vuole più fare il marinaio e l’incontro con gli Orsini gli permette di ambire a qualcosa di più elevato, che possa finalmente renderlo felice. Proprio questa è una delle chiavi per analizzare a fondo un personaggio così complesso: Martin sogna di diventare scrittore non perché questa professione è sempre stata nei suoi sogni, ma piuttosto perché la cultura e la letteratura fanno sognare colei che ama, quella Elena che si renderà conto troppo tardi di quanto fosse prezioso, nella sua apparente sconvenienza, l’amore del protagonista. Anche quando arrivano il successo e la fama, però, Martin non si sente a posto con se stesso, ma continua a fantasticare una vita diversa. A un certo punto l’Eden famoso afferma: “Ho vissuto talmente tanto intensamente che la vita ormai mi disgusta”. Questa frase è il manifesto programmatico che più di tutti rappresenta appieno il protagonista, assolutamente ambizioso ma anche patologicamente incapace di ritenersi soddisfatto di quello che è. Quando se ne rende conto, Martin non può che agire con un gesto estremo. Anche dal punto di vista della visione politica Eden appare profondamente travagliato. E’ indubbiamente vicino al socialismo, anche a causa della netta influenza che il suo mentore Russ Brissenden (un ottimo Carlo Cecchi) ha su di lui, ma è d’accordo specialmente con coloro che ritengono il sindacato un nuovo padrone e che propongono l’emancipazione del singolo prima che della comunità operaia. Perciò arriva a litigare con i borghesi già capitalisti, ma anche con gli operai più estremisti, che non appoggiano per niente la sua linea filosofica prima che fattuale.
A interpretare Martin ci pensa l’attore italiano che da alcuni anni a questa parte non sbaglia un colpo, cioè Luca Marinelli, che proprio in virtù del suo lavoro in Martin Eden ha vinto la Coppa Volpi al miglior interprete alla Mostra. Marinelli è straordinario nella prima parte del film, quando il protagonista cerca di diventare qualcuno nell’ermetico mondo della cultura, e leggermente meno convincente nella seconda, nella quale il protagonista conosce finalmente il successo. Finché Martin sogna, lo sguardo profondo e curioso del protagonista viene reso in modo impressionante dal suo interprete, che rende Martin un uomo affamato di ambizioni. Quando però emerge il dato disilluso e pessimista, il risultato interpretativo avrebbe potuto essere migliore, conoscendo anche l’indiscutibile talento dell’attore. Il resto del cast è per lo più costituito da attori e attrici del panorama teatrale partenopeo (con la grande eccezione del già citato Cecchi), e tale scelta risulta eccezionale.
Martin Eden è un film che racconta il mondo di oggi come quello di ieri, prendendo come modello una città profondamente cambiata, ma al contempo testarda nel voler apparire sempre uguale nella sua unicità. I salti temporali, la straordinaria sceneggiatura, la mescolanza tra immagini diegetiche e documentarie e la colonna sonora, che spazia dalla musica classica a quella popolare anni ’70, sono tutti aspetti che rendono il film il miglior titolo italiano del 2019 (almeno finora) e una delle vette più alte raggiunte dal cinema nostrano negli ultimi anni. Martin Eden è un film degno della nostra straordinaria tradizione cinematografica, necessaria e piacevole dimostrazione che il cinema di qualità può e deve avere il giusto risalto.
Voto Autore: [usr 4]