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One Night in Miami…

Che cosa si siano detti quella notte Cassius Clay, Jim Brown, Sam Cook e Malcom X? Quella notte del febbraio 1964 erano tutti alle porte di un cambiamento, di un ribaltamento che avrebbe potuto metterli al tappeto o consegnare loro le chiavi di un mondo nuovo. “One Night in Miami” crea un confronto vero, sebbene nessuno conosca la natura delle parole pronunciate in quella camera d’albergo. Una conversazione immaginata eppure autentica, in cui ognuno di questi straordinari uomini protegge l’essenza che davvero aveva. Un incontro di tante parole che diviene scontro di solidi punti di vista: una discussione densamente politica che mette all’angolo l’indifferenza ai soprusi del mondo di oggi.

“One Night in Miami” rinchiude in una dimessa stanza d’albero i personaggi più influenti della rinascita afroamericana. Si prendono in giro, si confidano, lasciano affiorare le loro paure. Là fuori il mondo non ha imparato a rispettare nemmeno loro. Loro che nel mondo della box, del football, della musica e dell’attivismo politico sono ciò che di meglio la Storia ci abbia regalato.

Là fuori la comunità afroamericana è calpestata e uccisa; mentre imperversa la segregazione razziale non si può godere del proprio successo illudendosi che questo sia sinonimo di un riscatto collettivo. Si è in dovere di aiutare la causa per mezzo della posizione privilegiata di cui gode.

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Di ciò era saldamente convinto Malcom X, pervaso da un impeto rivoluzionario urgente e appassionato. Ma in quella stanza qualcun altro non è con lui. La conquista del successo e la realizzazione economica non sono già di per sé un’emancipazione?

“One Night in Miami” è immerso in quella lotta che negli anni ’60 si avvertiva urgente e palpitante. In realtà siamo ancora oggi qui a domandarci come si debba combattere, con quali armi e con quali risorse, riuscire finalmente a estirpare individualismo e ingiustizia. Il primo film di Regina King è la messa in scena di un confronto straordinariamente reale, che ha molto da dire sulle necessità inderogabile di prendere posizione.

One Night in Miami

La narrazione prende vita dall’immaginazione e dalle numerose ricerche portate a termine da Kemp Powers (anche co-sceneggiatore e co-regista del film Pixar “Soul”), che ne ha fatto dapprima uno spettacolo per il teatro, ora divenuto realtà filmica grazie all’attrice premio Oscar Regina King (miglior attrice non protagonista per “Se la strada potesse parlare”). Un racconto d’amicizia – questa reale –tra quattro leggende indiscusse. Kemp Powers ricostruisce il clima dell’epoca attraverso le biografie dei protagonisti e considera le posizioni che questi hanno avuto in merito alla lotta per i diritti civili. Studia le loro personalità per potersi sentire libero di immaginarne un confronto: Cassius Clay, Jim Brown, Sam Cooke e Malcolm X riuniti a parlare di diritti civili (o semplicemente diritti umani, come amava precisare il militante Malcom) in una stanza dell’Hampton House Motel la notte in cui Clay diventò campione del mondo, il 25 febbraio 1964.

Ci sono foto d’epoca che testimoniano la presenza di Malcom X, intento a scattare fotografie, durante i festeggiamenti per la vittoria di Cassius Clay del 1964. Sappiamo che era lì e che c’erano anche Jim Brown e Sam Cook, la notte in cui Cassius, non ancora Muhammad Ali, a soli 22 anni, diviene campione dei Pesi Massimi, al Miami Beach Convention Center, disarcionando dal trono il favorito Sonny Liston. Ma “The Greatest” ha la pelle nera e non può festeggiare dove vuole. Un motel fuori città potrebbe apparire una scelta impopolare ma, se ad attenderlo ci sono tre dei suoi più grandi amici, la serata non appare così desolante.

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Il campione del football americano Jim Brown, il re del soul Sam Cooke, e la voce della Nazion of Islam, il suo maestro spirituale Malcom X. Tre divenuti celebri negli unici ambienti in cui era consentito emergere agli afroamericani in quell’epoca, ovvero musica, sport, e attivismo politico. Sempre che cantanti e atleti compiacessero il pubblico bianco e che l’impegno civile restasse sotto traccia, se proprio non poteva zittirsi. In particolar modo la voce di Malcom X indispettiva sia la popolazione americana bianca, che quei fratelli neri che guardavano agli impulsi rivoluzionari di “Detroit Red” con timore, preferendogli le proteste pacifiche del Reverendo King.

Malcolm X e Sam Cooke moriranno presto, entrambi in circostanze misteriose, Cassius Clay diventerà Muhammad Alì, mentre Jim Brown sceglierà la sua strada in piena autonomia. La Storia la conosciamo. Ma quella ipotetica conversazione, pungente ed ironica, ci racconta quanto tutti e quattro fossero tormentati dalla complessità di rintracciare un equilibrio tra la lotta per la giustizia e la fedeltà a loro stessi.

One Night in Miami

Regina King, dopo la regia di alcuni episodi di “Insicure” e “This is Us”, dimostra al suo debutto di saper ottimizzare un budget limitato senza confinare spettatore e idee in un’unica stanza. L’estrazione teatrale del soggetto non si palesa come un limite, e grazie alle ottime interpretazioni dei protagonisti “One Night in Miami” non soffre di alcuna costrizione narrativa: sa riaccendere rabbia e indignazione mediante il potere delle parole e degli sguardi.

“Guardate quando sono bello, non ho neanche un graffio e sono pieno di energia”. Cassius Clay scende dal ring come nuovo campione dei Pesi Massimi e si appresta ad annunciare al mondo l’indomani la propria conversione religiosa e la propria affiliazione alla NOI (Nation of Islam), organizzazione a cui era legato l’amico e mentore Malcom X. Malcom X attende quelle parole perché crede che il mondo afroamericano ne abbia bisogno, e perché è da poco venuto a conoscenza di rapporti sessuali illeciti perpetrati dal Leader della NOI Elijah Muhammad. Sa che il fronte di lotta deve essere rafforzato.

È una serata da dedicare ai festeggiamenti ma relegati dentro la spoglia camera di Malcom X, con la scorta alla porta, è difficile allontanare la violenza di quella legge sulla segregazione di Jim Crow che non li vuole a Miami Beach, che li tiene lì all’Hampton House Motel, a Brownsville, uno storico quartiere nero di Miami.

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Malcom X è avvolto da una solitudine fragile, perennemente circospetto, attraversato dalla tensione di chi sa che ogni mossa è divenuta per lui pericolosa, che qualcuno segue i suoi movimenti, sempre. Un militante appassionato ma in questa occasione lontano dagli accesi dibattici in cui lo ricordiamo. I dubbi sull’organizzazione di cui fa parte proliferano nella sua mente, e deve metterne a conoscenza Cassius, proprio ora che lo ha convinto a prenderne parte. Vorrà ugualmente prendere posizione nonostante lo stesso Malcom intraveda contraddizioni che giudica inammissibili? È necessario agire, con ogni mezzo, sfruttando fama, soldi e quelle carriere da privilegiati che i suoi amici sono riusciti a costruirsi grazie al loro incommensurabile talento. Saprà trovare le parole giuste per recapitare il suo messaggio di lotta?  

Questi quattro uomini finiscono assieme in una stanza d’albergo, proprio quando ognuno è ad un momento decisivo della propria vita: Jim Brown (Aldis Hodge) rivela che sta valutando la possibilità di ritirarsi dal football per il cinema, ma dietro al mondo di Hollywood si nasconde un nuovo sfruttamento bianco? Cassius Clay (Eli Goree) vuole rivelare presto al mondo la sua conversione all’Islam, un percorso spirituale in cui è stato aiutato da Malcolm X (Kingsley Ben-Adir), che a sua volta sente di non poter accettare in silenzio l’incoerenza della Nation of Islam. Qualora fondasse un nuovo movimento in quanti si direbbero pronti a seguirlo? E Sam Cooke (Leslie Odom Jr.), proprietario di una propria etichetta discografica, è al culmine del successo come cantante e produttore. Ma le sue canzoni parlano troppo dolcemente all’orecchio dei bianchi. Il suo mantenersi lontano dalla battaglia per i diritti civili è avveduto o moralmente inammissibile?

Erano famosi, ricchi, di successo, e possedevano un palco dal quale urlare cose che avrebbero avuto un peso. Sappiamo che Muhammad Ali da quel palco disse cose importanti, che non abbiamo dimenticato, pagandone tutte le conseguenze. Malcom X in quella notte di festeggiamenti trattenuti e confronti animati insisteva con testarda lucidità che anche gli altri facessero lo stesso.

One Night in Miami

“One Night in Miami” nonostante un montaggio troppo frammentato a causa del quale avvertiamo un leggero disequilibrio nelle transizioni e nei cambi di location, ha l’enorme pregio di concentrarsi sui principi che muovevano (e muovono) il movimento, tralasciando almeno per un attimo la natura delle ingiustizie subite. Quest’ultima è una tematica ben più largamente esposta, e il fatto che il film della King sappia conquistare un proprio spunto di riflessione è cosa assai apprezzabile.

Cooke, Brown e Clay non sono (o almeno non ancora) icone del movimento, ma sono le colonne sulle quali esso si regge. Sam Cooke è il riscatto per tutti gli artisti neri che non emergono, depredatati della loro arte mentre qualche bianco incontra il successo al posto loro. (Di questo ha parlato recentemente anche l’emozionate “Ma Rainey’s Black Bottom”). Jim Brown è l’autodeterminazione di chi vuole essere ricordato per ciò che è davvero. Cassius Clay è la liberazione, colui che può prendere a pugni in faccia la segregazione e scendere dal ring con la cintura del campione. Malcom X non ha lo stesso potere, lui è una guida, lui indirizza e fa confluire gli sforzi altrui. Sforzi necessari affinché il suo sacrifico, presto martirio, non sia sprecato.

La derivazione teatrale è alleggerita in diverse occasioni. Regina King fa uscire i quattro più volte dal motel (non sempre con motivazioni indispensabili alla narrazione) rendendo così il procedere maggiormente dinamico, e inserendo momenti filmici che riguardano ciò che avviene prima dello scontro verbale fra i quattro. La famiglia di Malcom X e quella di Sam Cooke, il ring che regala la gloria a Clay e un portico sotto il quale Jim Brown lodato e schiacciato al contempo: spazi perfetti per entrare dentro le motivazioni di uomini fieri e tormentati.

L’aspetto più riuscito di questa pellicola è quello di conservare per l’ultima parte il disvelamento della sua natura di film politico, rivelandola poi con vigore ed orgoglio. Il film pone, senza mai prendere posizione su quanto è stato dibattuto, una domanda essenziale. Per quale libertà combattiamo oggi? Quella politica o quella economica?

Mentre Sam Cooke è soddisfatto della sua carriera, Malcom X critica duramente, nel pieno del suo stile, la sua distanza dal movimento. La voce di Cooke sa impadronirsi dei teatri e abitare nei cuori della gente. Ma è al servizio di canzoni romantiche, in cui ci sono “I love you” in grande quantità che ben si adattano al gusto del pubblico bianco. Eppure Cooke grazie alle sue canzoni “leggere” ha fondato un’etichetta che vende canzoni di artisti neri persino ai Rolling Stone. Questa versione dell’empowerment nero è sufficiente?

“One Night in Miami” è un film sulla libertà e su quale mezzo possa essere il migliore per raggiungerla. Ed è soprattutto un racconto che rispetta la libertà dei suoi personaggi, e quindi anche quella dello spettatore, di scegliere se e quale posizione prendere. Un film che ci parla dell’America degli anni ’60 e di quella di oggi, quella in cui in questi mesi milioni di persone hanno affollato le strade, manifestando rabbia e delusione, palesando la vera natura del fallace mito del sogno americano, orientato perlopiù alla negazione dell’impegno comunitario.

“One Night in Miami” è il primo film di una regista afroamericana ad essere stato presentato Fuori Concorso alla Mostra di Venezia. E noi speriamo di sentirne parlare anche in occasione della prossima premiazione Oscar. Non per doverosi e posticci sensi di colpa del cinema bianco, ma perché quando parole, urgenza comunicativa e personalità si incontrano sarebbe bene restare in ascolto.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

One Night in Miami è un convincente esordio alla regia per Regina King. Un film che nonostante dimostri qualche aspetto acerbo nello stile di regia saprà continuare a parlarci ben oltre i tempi di visione. Una pellicola per riflettere sul valore della libertà e sulla lotta necessaria affinché questa possa essere garantita a tutti. Ottime le interpretazioni degli attori protagonisti.
Silvia Strada
Silvia Strada
Ama alla follia il cinema coreano: occhi a mandorla e inquadrature perfette, ma anche violenza, carne, sangue, martelli, e polipi mangiati vivi. Ma non è cattiva. Anzi, è sorprendentemente sentimentale, attenta alle dinamiche psicologiche di film noiosissimi, e capace di innamorarsi di un vecchio Tarkovskij d’annata. Ha studiato criminologia, e viene dalla Romagna: terra di registi visionari e sanguigni poeti. Ama la sregolatezza e le caotiche emozioni in cui la fa precipitare, ogni domenica, la sua Inter.

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