La vita è fatta di viaggi. Di scelte improvvise che cambiano le carte. Di piani imperfetti lunghi decenni. È fatta di ricordi, di rimpianti. Di up and down. Di tutto ciò che l’attimo prima sembrava finito e l’attimo dopo è vivo di nuovo. È fatta di film. Di scene che filtrano mettendo radici, pronte a restare fino alla fine. È successo spesso, e spesso ancora succederà. Eppure, quando nel 2009 arrivò nelle sale quell’opera chiamata Up, avemmo tutti la sensazione che le carte, più che cambiate, fossero state scompigliate del tutto, o meglio ancora disperse, fino a sparire.
La vita è fatta di viaggi. Beh, che aspettate?
Fate i bagagli. Si parte.
1939: Davanti a noi c’è un bambino. Sopra il naso un paio di occhiali, nella testa mille avventure, e nel cuore un idolo solo. Il bambino si chiama Carl, e quell’idolo è Charles Muntz, un esploratore alla perenne ricerca di animali rari. Carl lo guarda, lo studia. Si sente proprio come lui, e quindi esplora, esplora, ma non trova niente. Anzi no, in realtà una cosa la trova. Ma non è una rovina, né un animale raro. È soltanto la donna della sua vita. Si chiama Ellie, e di avventure in testa non ne ha mille, ma una sola: recarsi in Venezuela, e raggiungere le Cascate Paradiso. Lui, timido e goffo. Lei, brillante e piena di forza. Si piacciono, si amano. Si sposano. Rimarranno insieme per sempre.
Gli anni scorrono. Il futuro diventa presente, e il presente diventa passato. Con la vita, giungono i problemi. Ellie scopre di essere sterile. E la notizia è talmente brutta che per un istante sembra perdere la luce.
Carl non ci sta. Sarà timido, sarà goffo, ma quando si tratta di Ellie, Carl diventa onnipotente.
Servono due cose. Un barattolo, e un tappo. Da quel giorno, tutti i risparmi finiranno lì. E saranno il loro biglietto per raggiungere insieme le Cascate Paradiso.
Eppure, il tempo passa, ma il viaggio non arriva mai. Troppi inconvenienti. I soldi servono per riparare casa, pagare le bollette e curare gli acciacchi. La coppia invecchia. Si piacciono ancora, si amano ancora, ma ormai del Venezuela resta soltanto un barattolo vuoto. Un giorno, Carl decide finalmente di comprare i biglietti. Vuole a tutti i costi che Ellie sia felice, ma poco prima di poterglieli dare, la donna si ammala, e muore. Il sogno di portarla sulle Cascate Paradiso sembra perduto per sempre. Eppure, ormai lo sappiamo.
Quando si tratta di Ellie, Carl diventa onnipotente.
Quella di Up è una delle più belle storie mai raccontate. Il viaggio che Carl compie assieme alla sua casa, sostenuta da un tripudio di palloncini colorati, saprà tenerci incollati allo schermo con le gambe tese e gli occhi lacrimanti. Ad accompagnarlo, sarà un gruppetto eterogeneo come pochi.
C’è il piccolo Russell, un bambino ingenuo ma pieno di energie. C’è Kevin, un uccello gigantesco incapace di volare, e infine Dug, uno stranissimo cane che sa parlare, e lo fa di continuo. La coppia Carl-Russell, anche se sembra incredibile, funziona alla grande. E tutta la pellicola sarà l’incubatrice di un rapporto, il loro, destinato a diventare sempre più forte.
Quasi come un beffardo paradosso, sarà proprio l’incipit a surclassare in partenza ogni altro elemento. Il viaggio per giungere sulla cima agognata sarà pregno di avventure, le quali però sembreranno ben presto solo un mero intermezzo per raggiungere il finale. Ciò non basta per sminuire il livello generale dell’opera, ma rende tutto quello che non riguarda la coppia molto facile da dimenticare.
Ne è un esempio la storia di Charles Muntz, ridotta ad essere poco più che un pretesto in un universo dove forse un antagonista non serviva nemmeno. Ma questa mancanza, più che un paradosso, sembra essere una piccola lezione. Vicende altisonanti e scene straordinarie servono fino ad un certo punto. La missione che in fondo appassiona davvero è proprio quella che in apparenza sembra la più ordinaria di tutte: Stare insieme, giorno dopo giorno. Fino alla morte, e anche dopo.
Oltre a tutto questo, però, troveremo anche sequenze spettacolari e divertenti, portatrici sane dell’umorismo iconico che ha reso celebre la Pixar. In Up si ride, si piange, ma soprattutto, si vive. La resa estetica prende il tutto e lo fa brillare. I personaggi grondano emozioni come se al posto dei pixel ci fosse la carne. I colori risplendono illuminando lo schermo. Non a caso, l’immagine della casa in volo sostenuta dai palloncini, ha ormai preso posto nell’olimpo delle istantanee più belle di sempre.
A compattare il tutto una volta di più ci pensano le musiche, quelle che hanno permesso alla pellicola di agguantare non solo l’Oscar per il miglior film d’animazione, ma anche quello per la miglior colonna sonora. L’atmosfera di alcune scene semplicemente paralizza. E se in questa storia le note fossero palloncini, allora Up sarebbe la casa.
Le tematiche della Pixar, sempre perfette e ricche di spunti, stavolta esplodono completamente regalandoci attimi impossibili da dimenticare. In ogni uomo si nasconde un bambino, e questo lo sappiamo tutti.
Ma in ogni uomo si nasconde anche un anziano, e questo non lo sa quasi nessuno. E quell’anziano dal volto rugato non è altro che la somma dei nostri rimpianti, delle scelte mancate, dei desideri ardenti che come il carbone bruciano al buio.
In questo senso, Up è come un incendio. Un incendio che con le sue fiamme fatte di vita riaccende la voglia di ardere ancora. E alla fine, dopo i titoli di coda, tra i residui bruciacchiati resterà soltanto un libro. Un libro di avventure. Apritelo, sfogliatelo e leggetelo. Fate con calma, però. Perché la vita è fatta di viaggi, ma è fatta soprattutto di giorni. E ogni giorno è soltanto l’inizio di un viaggio nuovo.
Voto Autore: [usr 4,5]