Taxi Driver (1976), è uno dei capolavori diretti dal regista premio Oscar Martin Scorsese. Di genere giallo/Noir, la sceneggiatura è firmata da Paul Schrader (autore anche di Obsession – Complesso di Colpa di Brian de Palma), mentre le musiche sono di Bernard Herrmann, che collaborò anche con Alfred Hitchcock per Psyco. Nel cast, un incredibile Robert De Niro, che quest’anno riceverà la Palma d’Oro Onoraria a Cannes, e una giovanissima Jodie Foster.
Taxi Driver vince la Palma d’Oro nel ’76, due David Speciali nel ’77 e tre BAFTA. Candidato a quattro premi Oscar, due Golden Globes, collocato al 52° posto tra i 100 migliori film di tutti i tempi dall’American Film Institute, e al 17° tra i 500 migliori film della storia secondo Empire, il film è sicuramente da considerarsi come intramontabile e un capolavoro nel mondo del cinema.
Taxi Driver – Trama
1975, New York. Travis Bickle (Robert De Niro) è un ex Marine di ventisei anni, congedato dal Vietnam da due anni. Trasferitosi a New York, Travis soffre di insonnia cronica a causa dei traumi della guerra. Si sente come alienato, abbandonato, perso nel caos della città e nella sua indifferenza e superficialità. Decide quindi di lavorare come tassista di notte, momento durante il quale entra in contatto con il degrado e lo squallore che esce dai bassifondi: prostitute, ladri, assassini. Il suo unico svago è recarsi nei cinema a luci rosse, mentre le sole persone che frequenta sono alcuni suoi colleghi durante la pausa notturna.
Un giorno incontra Betsy (Cybill Shepherd), una giovane ragazza che fa parte dello staff del candidato alle elezioni Charles Palantine. Ne rimane affascinato e riesce a rimediare un appuntamento. L’incontro però finisce male, perché Travis la porta a vedere un film pornografico. Betsy inizia a evitarlo e questo scatena nel giovane una forte frustrazione, oltre all’aumentare della disillusione nei confronti delle persone.
Una notte, sul taxi di Travis sale Iris (Jodie Foster), una prostituta di soli tredici anni che sta cercando di scappare dal suo protettore-amante, “Sport” (Harvey Keitel). Il ragazzo decide di salvarla da quella vita, ma quando ci prova, la giovane rifiuta, sostenendo di essere stata probabilmente sotto l’effetto di sostanze la volta precedente. Questo ennesimo rifiuto nel tentativo di compiere una buona azione, fa insorgere in lui dei disturbi psicotici sempre più irrefrenabili, che lo porteranno ad abbracciare lui stesso la violenza. Il suo nuovo obiettivo, è infatti quello di uccidere il senatore Palantine, che ora Travis identifica come l’ipocrisia della società.
Taxi Driver – Recensione
In Taxi Driver il tema dell’alienazione e della frustrazione dell’uomo abbandonato dalla società, in particolar modo della figura del veterano, è centrale. Attraverso una regia precisa e innovativa, Martin Scorsese riesce a portare a galla l’inferno vissuto da chi, dopo aver servito la propria patria, si sente abbandonato dalla società, lasciato alla deriva. L’inquadratura dei dettagli di ciò che circonda il ragazzo, degli oggetti, in particolar modo delle parti del taxi, anziché seguire la figura della persona, accentuano il senso di distacco e dispersione dalla realtà. Il taxi diviene come un nuovo personaggio, è l’unico luogo sicuro di Travis, quasi come se si assimilasse alla sua carne, trasformandosi in guscio per il suo scheletro.
Durante la notte, la città lascia uscire la parte peggiore di sé, e Travis ne è un osservatore silenzioso, che lentamente gira per le strade affollate. La camera lo segue da più angolazioni, accompagnando la lentezza del movimento, quasi a farci sentire come nella testa di quest’uomo che vive nella solitudine, dove tutto procede a un ritmo alterato, nell’apatico infossarsi all’interno della propria psiche, dalla quale difficilmente potrà fare ritorno. Perché Bickle stesso, in uno dei suoi ultimi momenti di lucidità, ammette ad alta voce “alla fine è questo il mio destino. Sono destinato a stare solo“.
Ecco allora che l’effervescenza di un’aspirina che porta a galla le bollicine sulla superficie del bicchiere, si mischia con l’affiorare di una nuova agghiacciante consapevolezza. Non può fare affidamento sulla società, ben che meno sulla politica. Anzi, proprio questa è il suo primo nemico, incarnato nella figura del senatore.
Travis Bickle, un sedicente giustiziere
Travis è l’unico che può ripulire la città dal degrado, partendo proprio da chi dovrebbe guidarla. Ed ecco qui la metamorfosi, sia psichica che fisica. Il taglio mohawk adottato da Travis nel finale, richiama l’acconciatura dei guerrieri nativi americani, che la utilizzavano proprio per spaventare il nemico una volta scesi in battaglia. Perché questo è ciò che compie. Una battaglia. Al degrado, all’indifferenza, all’ipocrisia. Un “cowboy” solitario, come lo chiama Sport schernendolo, un giustiziere. In effetti, oltre agli evidenti elementi del noir metropolitano, così come del thriller hitchcockiano, molto chiari sono i riferimenti al genere americano per eccellenza: il western.
Lo stesso Schrader ha affermato che una delle ispirazioni è stata Sentieri selvaggi di John Ford, con protagonista John Wayne. In questo film il protagonista è un veterano di guerra che, tornato a casa, scopre che la giovane nipote è stata rapita dai Comanche. L’uomo è ossessionato dal farla tornare a casa, ignorando però quella che è la vera volontà della nipote. Questo richiamo ritorna soprattutto nella seconda metà del film, quando Travis cerca di portare via la piccola Iris dal controllo di Sport.
Il protagonista qui vive una ripartizione precisa: quella della solitudine, seguita dal farsi carico dei mali e dei peccati del mondo, fino alla morte/resurrezione. L’apice è raggiunto e mostrato al pubblico attraverso lo sguardo di Dio, un tipo di ripresa dall’alto, che consente di osservare l’intera scena, da una posizione privilegiata. L’ipocrisia di quella società che Bickle vuole ripulire e redimere ossessivamente, alla fine in un qualche modo lo investe, e Scorsese mostra egregiamente come il destino possa essere volubile. Antieroe per eccellenza, viene infine riportato alla vita come salvatore, lui che di quel mondo, non ne inorridito e disincantato.
Cast e curiosità
La tipica acconciatura guerriera detta mohawk sfoggiata da De Niro è in realtà una protesi, frutto della maestria di Dick Smith. L’attore infatti non avrebbe potuto effettuare alcun taglio di capelli in quanto, contemporaneamente a Taxi Driver, stava partecipando alle riprese di Novecento di Bertolucci. Inoltre, per immedesimarsi meglio nella parte, l’attore ha guidato un taxi per sei mesi a New York, conseguendo anche la patente. L’iconica scena in cui De Niro parla allo specchio “you talkin’ to me?” è totalmente improvvisata.
Jodie Foster (allora quattordicenne)prima di ottenere la parte, ha dovuto sostenere un colloquio del totale di quattro ore con uno psicologo, data la delicatezza del ruolo che avrebbe dovuto affrontare e la violenza di alcune scene. Inoltre, data la giovane età, nel momento di intimità con Travis è stata sostituita dalla sorella maggiore Connie, che allora aveva diciannove anni.
Martin Scorsese appare in un cameo come cliente sul taxi di Travis. Questo perché l’attore che avrebbe dovuto interpretare la parte ha dato forfeit a causa di un infortunio. De Niro dava a Scorsese consigli sull’interpretazione.