Non c’è dubbio alcuno ormai che dalla penna del regista e autore Alex Garland si generino lungometraggi sorprendenti. Capolavori come Ex machina (2015) ma anche sperimentazioni come Annientamento (2018) e picchi più recenti come Civil war (2024) non faticano a dimostrarcelo. La sua visione autoriale è immersiva, soffocante e a tratti filosofico-esistenziale, pur spesso partendo da dinamiche estremamente concrete. A suo agio con le derive più concettuali della science–fiction, la sua scrittura si interroga anche sui principi dell’essere che investono il quotidiano. Ma cosa succede quando Garland presta la sua scrittura a terzi, facendosi sceneggiatore di una regia altrui? E cosa accade quando l’ispirazione non deriva dalla sua fantasia, ma da un romanzo pre-esistente? È questo il caso di Non lasciarmi (Never let me go, in lingua originale) il dramma futuristico del 2010 da lui scritto – sulla base del romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro – ma diretto da Mark Romanek.
La trama del film
Facciamo la conoscenza dei tre protagonisti di Non lasciarmi, Kathy, Tommy e Ruth, quando questi sono ancora bambini. I tre frequentano un’accademia del tutto particolare, con abitudini quantomeno curiose e dinamiche a tratti oscure. Ai bambini vengono insegnate le nozioni più disparate, dal disegno alla sessualità passando per il come si ordina una bevanda in un bar. Tutti i pupilli che frequentano la scuola sembrano muoversi con dimestichezza nelle dinamiche dell’istituto ma si dimostrano fortemente impacciati di fronte a tutto ciò che da esse esula. E, soprattutto, mai viene fatta menzione delle loro eventuali figure genitoriali: il collegio li tiene con sé ogni giorno dell’anno, isolati, fino al compimento della maggiore età. In questo contesto peculiare crescono appunto i tre protagonisti. Il goffo e insicuro Tommy è spesso vittima degli scherzi architettati dalla furba Ruth, che sembra avere tanta voglia di crescere.
Per fortuna però il bambino trova conforto in Kathy, decisamente più sensibile di Ruth. La bambina presto finisce per innamorarsi di lui. Ma, per uno strano ribaltamento del destino, scoprirà con cocente delusione che proprio con Ruth il ragazzo sta intessendo una relazione. Raggiunti i diciotto anni, i ragazzi vengono allontanati dal collegio e mandati a muoversi nel mondo. Agli ormai cresciuti Tommy (Andrew Garfield), Kathy (Carey Mulligan) e Ruth (Keira Knightley) viene spiegato il loro vero essere e la loro funzione. Di fronte ad una verità tanto orrorifica e inimmaginabile, le carte dei loro destini si rimescolano di colpo. I tre devono prendere atto del loro ruolo, sebbene esso implichi una permanenza breve su questa Terra. Alla luce dello scorrere degli eventi, ci sarà ancora spazio per una resa dei conti da parte di Kathy in merito al suo amore imperituro nei confronti di Tommy?
Non lasciarmi – La recensione del film
Il concept più che impegnativo di Non lasciarmi trova un corrispettivo tonale adeguato nel setting in cui si imposta. I cieli plumbei che occupano tanta parte dello schermo riflettono ottimamente il grigiore della vita surrogata a cui sono costretti i protagonisti. Le brulle campagne inglesi sono il contraltare dello stato esistenziale a cui essi sono costretti. La fotografia del film rende al meglio il nucleo emotivo di questi elementi, valorizzandone in modo esponenziale il significato. Uniti alla colonna sonora squisita e sempre calzante di Rachel Portman, questi elementi di cornice ci permettono di entrare agevolmente nelle corde emozionali del film.
Sono queste però corde emozionali tutt’altro che travolgenti, volutamente. Il modo estremamente lineare in cui è scandita la narrazione lascia spazio ai concetti di sprofondarci addosso, andando ben più a fondo del mero livello epidermico. Non veniamo trascinati dal corso degli eventi ma al contrario ne soppesiamo le implicazioni, riuscendo così ad arrivare a fondo nella lettura degli eventi. In quest’ottica, ha perfettamente senso che la seconda porzione di Non lasciarmi rallenti velatamente il proprio ritmo. Nella prima parte del film l’andamento- comunque di certo non frenetico – è appena più rapido, per permettere la costruzione di un clima organico di partenza. Su di esso si va ad impostare una scoperta devastante da parte dei protagonisti, che permette alla vicenda di assumere tutt’altro spessore. Nella seconda parte, dunque, si lascia spazio alle sue altrettanto devastanti implicazioni di emergere: ai protagonisti restano solo silenzio e passività.
Non lasciarmi – Le ottime performance rendono con forza le implicazioni esistenziali del film
Proprio la costruzione di un quadro così essenziale, silente e assoluto permette alle ultime frasi del voice over di Kathy di risuonarci addosso. Grazie all’andamento del ritmo, le sue parole finali riecheggiano in noi, che alla luce del lungometraggio siamo in grado di soppesarle a dovere. Il finale drammatico non si limita più alla sfera diegetica, ma diventa drammatico anche in relazione alle vite di noi stessi spettatori, e l’effetto dirompente del film si fa ampiamente riuscito. Un’ipotesi, un’implicazione logica tanto semplice quanto imperscrutabile chiude il lungometraggio, e poco importa se ormai i titoli di coda hanno iniziato a scorrere: quel concetto ci è ormai rimasto addosso, si è instillato in noi. Ancora una volta, Alex Garland – appoggiandosi al validissimo e lodato testo letterario pre-esistente – sfrutta i cavilli di un mondo futuristico iper–tecnologizzato per farci riflettere sull’essenza delle cose. La cornice diventa un mezzo, l’etica e l’umanità il nucleo.
Veicolare questo nucleo così ostico non sarebbe però stato possibile se le performance degli interpreti principali non fossero state perfettamente centrate. Al netto di un miracoloso primo atto, completamente affidato a interpreti bambini, la restante parte del film è nelle mani di tre capacissimi interpreti. Troviamo un’elegante Carey Mulligan ancora una volta in forma smagliante. La sua Kathy è contemplativa, riflessiva e di poche parole. Ma il suo sguardo, nonostante sia delicato e sensibile, è denso d’urgenza e fortemente comunicativo. Al suo fianco, Andrew Garfield rende con forza un personaggio che pare plasmato su di lui: tendenzialmente trattenuto e impacciato, frustrato si risolve prima del finale ad esplodere nella più cieca e rabbiosa disperazione. Altrettanto centrata Keira Knightley, la cui frivolezza adolescenziale lascia spazio in età adulta a respiri soppesati e non detti. Quando le colonne portanti sono stabili, anche film piccoli come Non lasciarmi possono diventare colossali.