Dopo i successi di Shotgun stories (2007), Take shelter (2011), Mud (2012) e Loving (2016), il regista e sceneggiatore Jeff Nichols torna a mettersi alla prova. Per farlo, sceglie di sviluppare le vicende documentate nel fotolibro di Danny Lyon del 1968, rappresentante il moto club “Outlaws MC”. Da questa fortunata intuizione di approfondimento nasce The bikeriders, sesto lungometraggio del regista qui anche sceneggiatore. La pellicola (116’) dall’andamento drammatico segue le vicende di alcuni membri legati visceralmente al club, che nel mondo diegetico di Nichols prende il nome sostitutivo di Vandals. In particolare, il riflettore è puntato sulle vicende del giovane audace e incosciente Benny (Austin Butler), di sua moglie Kathy (Jodie Comer) e del capo del gruppo Johnny (Tom Hardy). Il film, distribuito da Focus Features negli Stato Uniti e da Universal Pictures in Italia, ha fatto la sua comparsa nelle nostre sale lo scorso 19 giugno.
La trama del film
Sagace e dalla parlantina pungente, Kathy (Jodie Comer) racconta al reporter Danny (Mike Faist) le vicende del suo passato legate al gruppo dei Vandals. Nel pieno degli anni Sessanta la giovane donna fa infatti casualmente la conoscenza della gang, rimanendo fermamente inorridita dalla loro rozzezza e trivialità. Ciononostante, resta suo malgrado folgorata dalla presenza del catalizzante Benny (Austin Butler), audace e testardo. Il colpo di fulmine è reciproco, e poco dopo essersi conosciuti i due convolano a nozze. Da quel momento in poi, la vita della coppia si sviluppa intrecciandosi inevitabilmente con quella del club, creato anni prima dall’idealista Johnny (Tom Hardy), animato da uno spirito à la Marlon Brando. Proprio lui ha raccolto attorno a sé la gang, unita dall’amore per la motocicletta.
Kathy e Benny vivono così interagendo con Zipco (Michael Shannon), Cockroach (Emory Cohen), Corey (Karl Glusman) e gli altri membri della banda, tra scorribande e corse su due ruote. Quando Kathy realizza che l’attaccamento di Benny al gruppo rischia di costargli caro, prende coscienza del pericolo che costituisce per lui – e per la loro relazione – l’appartenenza ai Vandals, ma Benny sembra incapace di ascoltare. Altrettanto sordo appare Johnny, a cui Kathy si rivolge chiedendo di preservare quanto più possibile il giovane marito. Ciò di cui però nessun membro della gang sembra rendersi conto è che la loro famiglia allargata si sta espandendo vertiginosamente. E che quest’allargamento comporta uno scadere della morale genuina che ne animava gli iscritti, la quale va sostituendosi con una pericolosa inclinazione per la malvivenza. Quando Johnny e Benny riescono finalmente ad aprire gli occhi, la situazione rischia di essere ormai compromessa.
The bikeriders: l’evoluzione dello stereotipo maschile nella società e sul grande schermo
Ciò che sorprende, una volta ultimata la visione ultimata di The bikeriders, è la sua capacità di instaurare un discorso ben più sottile e complesso di quanto ci immagineremmo date le premesse. In apparenza, infatti, il lungometraggio sembra poggiarsi sulla scia di un filone ultradecennale, che partendo dal western vuole rafforzare un certo ideale di virilità fino ad arrivare alle derive di Easy rider (Hopper, 1969), che segnano l’aprirsi di una nuova fase. Prima in sella al suo cavallo, poi alla sua moto, permane però un certo tipo di figura maschile stereotipica e bidimensionale, senza paura né fragilità. Egli affronta un mondo a sua volta scarsamente tridimensionale e fatto di divisioni nette. Il prodotto di Nichols, ad un primo approccio, sembra volersi collocare sulla linea di questa tradizione, che però ad oggi tolto un certo gusto nostalgico avrebbe ben poco senso di sussistere.
A suo modo, certamente, l’impronta iniziale vuole essere comunque quella. Scelta giustificata, però, dal setting temporale e ambientale. Benny, Johnny e i loro compari si sentono uomini tutti d’un pezzo, conditi da un pizzico di follia, audaci, che cullano il vento fra i capelli e l’idea di libertà che solo la moto sa dare loro. Con l’andare avanti del minutaggio, però, assistiamo in The bikeriders ad una problematicizzazione di questo tipo di personaggio. Johnny si pente delle sue scelte, ostenta sicurezza ma è conscio degli errori di giudizio commessi – errori che peraltro pagherà a caro prezzo – seppur fatichi ad ammetterli. Lo spavaldo e sregolato Benny, finito di sognare e di confidare nei suoi ideali, si ritrova in crisi e fugge. “Un uomo vero non piange mai”, si dice nel corso del film, eppure…
The bikeriders – Un’occasione sprecata per lo sviluppo di un personaggio femminile che regga il passo con i suoi co-protagonisti
Per instaurare un tipo di discorso del genere, si rivela strettamente necessaria la scelta di interpreti che siano capaci di rappresentare i due rovesci della medaglia. In questo, chi meglio di Tom Hardy (Capone, Locke), che con la sua modulazione vocale ai limiti del macchiettistico riesce nella stupefacente impresa di non perdere mai di credibilità. Il suo personaggio, fra ideali e ripensamenti, grazie alla performance dell’attore affronta una parabola umana a tutto tondo di sogno, riuscita, incertezze e durezza. Molto bene anche per l’astro nascente Austin Butler (Elvis, Dune parte due) che nonostante il personaggio estremamente laconico che gli viene affidato – e nonostante quindi il ventaglio di battute estremamente limitato che gli viene messo a disposizione – riesce a restituire sullo schermo un protagonista estremamente magnetico, combattuto e in difficoltà nell’accettare una nuova era di mascolinità più riflessiva, che l’evolvere dei tempi gli pone di fronte.
Nessun dubbio anche sulle capacità interpretative di Jodie Comer (The last duel). Con un tentativo di modulazione della voce che fa eco ai voli pindarici del collega Hardy, Comer maschera il suo stampo British dietro alle fattezze di una Kathy combattiva, ironica, decisa e frustrata. Si delinea così una narratrice – la vicenda segue il voice over di Kathy – insieme franchissima e scarsamente oggettiva, per quanto profondamente consapevole. Peccato solo, verrebbe da aggiungere in ultima istanza, che considerando il ruolo di protagonista quasi assoluta il suo personaggio sia il meno sviluppato dei tre e che la sua parabola segua un arco minimo rispetto a quella dei due motociclisti. Per contro, particolarmente interessante è il discorso che The bikeriders instaura rispetto all’evolversi di un certo tipo di mascolinità stereotipica e tendenzialmente tossica; con questo prodotto Nichols ci ricorda di questo cambiamento, sia nella storia e nella società che sul grande schermo.