Dicono che fuggire sia un gesto vigliacco. Peccato sia così piacevole.
Quante volte abbiamo fantasticato di scappare, di assaporare la libertà dalle costrizioni sociali, di agguantare il pieno arbitrio sulla nostra esistenza. L’essere umano è stato creato per custodire dentro di sé un profondo desiderio di evasione, come fosse un amuleto di speranza che ci permette di continuare a respirare. La possibilità di fuggire è una libertà a cui nessuno è disposto a rinunciare.
Tuttavia nessun piano di fuga può essere progettato senza la compiacenza di qualche astuto complice. Per questo vorremmo proporci come vostri alleati in una fuga apparente, a cui potrete partecipare restando comodamente seduti sul divano. Vi basterà chiudervi liberamente in voi stessi e tenere gli occhi aperti. Guardare un film non è allontanarsi dal mondo, ma entrare nel mondo varcando un altro accesso.
Un viaggio attraverso 5 film: film che ci permettono di evadere, di conquistare un po’ della libertà a cui aspiriamo.
1. I sogni segreti di Walter Mitty (2013)
Un viavai tra realtà e fantasia che fa riassaporare a tutti la voglia di rimettersi in viaggio. Il film è il remake di “Sogni proibiti” del 1947, basato sul racconto “The Secret Life of Walter Mitty” scritto da James Thurber nel 1939.
Walter (Ben Stiller, qui regista e principale interprete) ha consacrato la sua esistenza ad un lavoro che lo fa sentire inutile. Non ha più l’età giusta per ricominciare da capo e il destino non sembra interessato ad offrigli nuove occasioni. Eppure la sua immaginazione è così fervida da convincerlo a non consegnare le armi: non è ancora tempo di dichiarare la resa. Ad indicare la via di fuga, come un guardiano alla porta fra i due mondi, quello reale e quello sognato, c’è Sean Penn armato di macchina fotografica e di una saggia aura naturalistica. Mentre a disseminare indizi lungo il tortuoso sentiero verso la libertà c’è Shirley MacLaine, meglio non perdere mai di vista chi sa preparare torte così buone.
Un’opera che invita a rimodulare le nostre priorità, a dipingere le nostre giornate di colori nuovi. La libertà si afferra sognando.
2. Hunger (2008)
L’esordio alla regia di Steve McQueen è un dramma carcerario dalla ferocia inaudita, come solo le storie tragicamente vere possono esserlo.
Siamo nel carcere di Long Kesh, in Irlanda del Nord. È il 1981. I detenuti politici, guidati dal carismatico Bobby Sands (interpretato da un grandioso Micheal Fassbender), si ribellano alle imposizioni del governo rifiutando di indossare le uniformi da loro fornite e di lavarsi e radersi. La loro protesta rimarrà inascoltata. I prigionieri decideranno così di intraprendere uno sciopero della fame straziante, doloroso, prolungato. È proprio Bobby Sands a iniziare, morendo dopo 66 giorni di digiuno. Un percorso di violenze, grida e dolore. Una claustrofobica sensazione di perenne oppressione, di insopportabile staticità, in una pellicola in cui si ricerca disperatamente uno spiraglio di luce a cui aggrapparsi. Piani sequenza a camera fissa, fotografia buia, e l’esposizione di un corpo dilaniato dalla sofferenza, eppure integro per la solidità dei suoi ideali.
La libertà si conquista mantenendo fede ai propri ideali. Perché anche se inascoltato il suo grido di ribellione sarà eterno. Uno degli esordi migliori degli ultimi anni.
3. Room (2015)
Un piccolo capolavoro opera del regista irlandese Lenny Abrahamson, costruito sulle interpretazioni personali dei due protagonisti: Brie Larson, premiata con l’Oscar come miglior attrice protagonista, e Jacob Tremblay, straordinario piccolo talento. Room è la cella in cui Joy è rinchiusa. Da sette anni quella stanza è tutto il suo mondo. Room è anche il luogo in cui è nato Jack, suo figlio, concepito a seguito di una delle numerose violenze subite dal suo sequestratore. Per il piccolo Jack è lì dentro il suo unico mondo: una stanza senza finestre in una qualche realtà provinciale d’America. Un letto, un armadio, un tavolo. Jack non ha conosciuto altro mondo se non questo. Joy farà di tutto per proteggerlo dalla verità terrificante del sequestro, per fare in modo che gli occhi sognanti di Jack possano continuare a guardare il mondo, per quanto violentemente limitato, con meraviglia.
Room: nove metri quadrati di inferno, in cui si sopravvive alla rabbia dissetandosi di immaginazione. La libertà si assapora edificando castelli in aria.
4. The Help (2011)
The Help è un film del 2011, diretto da Tate Taylor, regista dei più recenti “La ragazza del treno” (2016) e “Ma” (2019, dove ritroviamo l’attrice Octavia Spencer). Una storia animata unicamente da donne: quelle con la pelle bianca, borghesi, vittime di un maschilismo imperante, e quelle con la pelle scura, schiave, vittime di soprusi perpetrati dai bianchi tutti, uomini e donne. Gli Stati Uniti negli anni ’60 non erano certo posto per donne, figuriamoci per donne nere.
La giovane scrittrice “Skeeter” (Emma Stone) è decisa a dedicarsi alla sua realizzazione lavorativa, sebbene le sue coetanee, ormai sposate, siano tutte assorbite dalla famiglia. Raccoglierà numerose testimonianze delle cameriere afroamericane per farne un libro che possa raccontare lo stato di segregazione e razzismo ancora dilagante in Mississipi. Il volume susciterà clamore e polemiche. Le donne afroamericane finiranno per firmare il libro in forma anonima, e in parte si ribelleranno alla sopraffazione. Nel cast anche Octavia Spencer, Viola Davis e Jessica Chastain.
Il film si è rivelato subito un successo negli Stati Uniti, incassando più di 160 milioni di dollari. Forse perché riesce nella complessa impresa di smussare gli angoli più taglienti della questione razziale, addomesticandone i lati contorti? Hollywood semplifica, si sa, ma in questo caso offre una torta al “cioccolato” dritta in faccia al razzista perbenismo bianco e, fosse anche solo per questa scena, siamo pronti a scusarlo.
Quando si ha sete di libertà, non c’è nulla di meglio che fantasticare sulla pubblicazione di un libro che espone i torti sociali subiti da generazioni di persone. La libertà si conquista scrivendo.
5. Prison Break (2005)
Non è un film, ma una serie televisiva. Eppure non ce la sentiamo proprio di escluderla da questa short list di narrazioni d’evasione. Se anche a voi al sentir parlare del carcere di “Fox River” viene una gran voglia di tatuarvi ci capirete.
“Prison Break” è una serie tv, creata e co-prodotta da Paul Scheuring, trasmessa dalla Fox a partire dal 2005. Cinque stagioni e un lungometraggio “The Final Break”, di cui forse non sentivamo il bisogno, che ha tenuto incollati per 90 episodi tantissimi “aspiranti fuggitivi”, bramosi di inseguimenti, scazzottate, e geniali plan escape.
Quando Lincoln Burrows (Dominic Purcell) viene accusato di aver ucciso il fratello del Vicepresidente degli Stati Uniti, viene condannato a morte e incarcerato nel Penitenziario di Stato di Fox River. Il fratello, Michael Scofield (Wentworth Miller), si tatua la planimetria della prigione sul corpo, camuffandola tra le linee di un enorme affresco biblico, e si fa arrestare per essere rinchiuso nello stesso carcere. Tutti i tipi tosti dotati di un’intelligenza singolare abitano dentro le serie tv statunitensi, sarà per questa ragione che per strada se ne incrociano pochi. Micheal Scofield è brillante, scaltro, un vero genio. Ecco perché la sua non è un’idea insensata, ma un primo passo di un piano molto complesso, organizzato, meditato, impresso nella mente e sul corpo.
Prison Break fino almeno alla terza stagione ha funzionato parecchio bene, perché la voglia di catapultarsi nella puntata successiva è stata quasi intrattenibile.
In Prison Break è presente un ferreo convincimento: l’ingiustizia si deve combattere con ogni mezzo. Per questo ciò che non è lecito diventa ammissibile. La libertà forse è già disegnata sulla nostra pelle.